Il mercato di riparazione (anzi, di rivoluzione: in D,
ormai, funziona così) rimodella il Manfredonia. E il collettivo di Cinque, in
partenza, sembra risentirne. La caduta rovinosa del Miramare, di fronte al Monopoli, certifica un disagio. Ma a
Taranto, sei giorni dopo, nell’anticipo passato dalla Rai, la formazione
sipontina non teme il confronto e allontana qualsiasi sospetto di sudditanza
psicologica. Il sistema di gioco non si abbassa mai troppo, la manovra è
sufficientemente aggressiva, l’applicazione costante. La gente di Papagni prova
a fare la gara e non riesce. Il Manfredonia, con lucidità, ne impedisce gli
slanci e la profondità, trovando pure gli argomenti giusti per portarsi in
vantaggio. E, malgrado Balistreri riesca a ravvivare per un po’ l’iniziativa
jonica e a raddrizzare i risultato, Laporta e compagni restano vigili, reattivi,
scaltra: sfruttando come meglio non si può l’infortunio fatale di Marani,
guardasigilli di casa. Il successo, dunque, non stona affatto: meglio il
Manfredonia, al di là del verdetto. Perché è migliore l’approccio, è migliore
la gestione della gara, è migliore il ritmo impresso ai novanta minuti ed è
preferibile la sua continuità di espressione. Tutte indicazioni buone a
rassicurare l’ambiente: lentamente, la rivoluzione di dicembre sta per essere
assorbita. E la permanenza sembra soltanto l’obiettivo minimo.