martedì 24 maggio 2011

L'onestà intellettuale di Zeman

«Colpa mia. Volevo vincere il campionato, avrei dovuto farlo. La stagione del Foggia è un fallimento. Mi faccio da parte, lascio la panchina. Forse definitivamente». Zdenek Zeman non è un personaggio qualunque. Forza gli schemi, sempre. Con un’onestà intellettuale che i suoi avversari più duri e i suoi detrattori più antichi non conoscono. E non conosceranno mai, nel grigiore e nella pochezza delle proprie convinzioni. Il boemo è personaggio vero, sino in fondo. Che solo un’Italia abituata all’anormalità, alla false apparenze e ai guitti di mille religioni censura senza capire. Zeman rinuncia al prolungamento del contratto. Viaggiando, se non troverà un’altra collocazione, contro i propri stessi interessi. Decisione irrimediabile, dice. Che, però, gli rende onore. Ancora una volta. La dignità, cioè, prima di tutto: anche dell’ingaggio. La dignità che tanti altri si sognano. Di notte e di giorno. Inutile aggiungere, però, che non ci troviamo d’accordo: nel merito. Il tecnico non è responsabile di un fallimento che non esiste. Al di là delle situazioni arbitrali, vere o presunte, che hanno condizionato il cammino della squadra e, di conseguenza, la scelta finale del trainer. Il Foggia era una scommessa. Da giocare, prima che da vincere: forse, anche fuori dal campo. E il Foggia, quella scommessa, l’ha giocata, sino in fondo: di fronte a organici più esperti, complessivamente più dotati. Più competitivi. Una scommessa appaltata con coraggio e buone intuizioni. Che avrebbe dovuto costruire l’implacatura di un ciclo nuovo. Onore a Zeman, certo. Ma Zeman, questa volta, sbaglia. Casillo e Pavone, allora, provino a smuoverlo ancora: con fermezza, decisione. Anche per salvaguardare il processo di solidificazione di quello stesso progetto. Lo devono alla città, alla tifoseria. E anche al boemo.