lunedì 30 maggio 2011

Taranto, il rimorso dell'assenza

Impalpabile, etereo. Assente, quasi. Il Taranto fallisce la prova più vera, cioè gara uno dei playoff. Al primo turno inciampa sull’Atletico Roma, formazione che sembra aver recuperato verve, solidità e scaltrezza, dopo una fase finale di regular season non propriamente brillante. I laziali legittimano il pronostico e rimarcano la superiorità nei confronti diretti: tre vittorie su tre match. Compresi, ovviamente, quelli del campionato. Lo Iacovone è pieno, vociante, entusiasta: diecimila presenze spingono Rantier e compagni verso il sogno. Non basta: la gente di Dionigi è intorpidita, statica. Accusa un calo di tensione o di desiderio. Probabilmente, anche la tensione che la città produce in appuntamenti come questo. Steccando. Zero a uno, romani avvantaggiati anche dalla posizione di classifica che, ad eventuale parità di punteggio, decide. Significa che, per passare il turno, il Taranto dovrà vincere al Flaminio, tra sei giorni, con almeno due gol di scarto. Serve l’impresa, ecco. Inimmaginabile, per un collettivo spento come quello di ieri. Mai seriamente in partita, disposto solo ad assistere e limitare il rischio. Il coach, per alcune scelte (di uomini, prima che squisitamente tattiche), è ufficialmente indagato dall’opinione pubblica. Ma il problema, così com’è, sembra più che altro edificarsi su forti piattaforme psicologiche. Acuite dalla scarsa brillantezza dei singoli, ormai conglobati da tempo (più o meno dall’arrivo in panca di Dionigi) in un progetto fondato (giustamente) sulla saldezza del collettivo: che la versione precedente, quella di Brucato, peraltro, non contemplava. Eppure, c’erano tutti i presupposti per vivere una giornata speciale: ma il Taranto più affidabile si è eclissato nel momento decisivo. Trascinandosi ogni varietà di rimpianti.