mercoledì 2 novembre 2011

Cassano e il talento sprecato

Dribbling, acuti e colpi di testa. Quelli nocivi: per se stessi. Ingegno e autolesionismo. Assist e diverbi, piedi dolci e scatti d'ira. Antonio Cassano si è abituato e ci ha abituato al meglio e al peggio. Senza mai arrivare, però, ad un livello assoluto: per quei chili di troppo, per quelle scelte sbagliate, per quell'istinto autodistruttivo. Stop e ripartenze. Continue: il cammino nel pallone del ragazzo di Bari Vecchia è gravido di frenate brusche e di nuovi slanci. A Roma, a Genova, a Milano. A Madrid, invece, un solo calo di rendimento: fatale. E sufficiente per il foglio di via. Per il biglietto di ritorno in Italia. Alle soglie dei trent'anni, poi, Cassano sembrava sul punto di riappropriarsi di un posto sicuro nel circolo privato dei più ammirati: con la maglia di un club importante e con quella della nazionale. E, invece, va male anche questa volta, come in un film noir, come in incubo perfetto, come in un romanzo di malefica letteratura. Dalla scala di un aereo al policlinico: un malore improvviso (un fenomeno vascolare ischemico transitivo, tecnicamente parlando), l'indisponibilità forzata. Chissà per quanto. Adesso, l'istrionico carattere dell'indisponente Cassano non c'entra. Non è lui la causa marcia del suo stesso futuro. No, e non c'entrano neppure la stizza di un momento o la naturale predisposizione a non sottomettersi mai a nulla e a nessuno. Ma c'entrano il destino, o la fatalità. Quanto basta per rendersi conto che il tempo è passato e che molto, troppo talento è andato sprecato.