martedì 18 dicembre 2012

Il Taranto e l'euforia spezzata

L'euforia della speranza non paga, tante volte. Ed è, questo, uno degli esempi. La stampa che vive quotidianamente attorno al Taranto si era convinta, o forse solamente illusa, che il nuovo corso avrebbe invertito tendenza e prospettive. La lenta assimilazione del calcio in cui crede coach Pettinicchio, la maturazione graduale dei giovani made in due Mari, l'interruzione del rapporto con troppe figure mal sopportate e, da tempo, ai margini del progetto tecnico, l'acquisizione del cartellino di un certo numero di rinforzi (Mignogna e l'argentino Molinari su tutti), l'ultimo successo (in casa, domenica l'altra con la Puteolana, farcito di buone recensioni9 e qualche altro segnale sparso di ricompattamento, probabilmente, avevano alimentato il buon umore della critica e della piazza. Costrette, almeno per un'altra settimana, a pentirsi. E a riflettere. A Francavilla sul Sinni torna il Taranto già conosciuto: quello distratto, quello incerto. Quello che non possiede ancora un'identità. Quello che non si è calato nella psicologia della quinta serie. Quello che subisce in silenzio. Il rovescio (tre a uno) è grave: non tanto per il risultato in sé. Ma, anche e soprattutto, per le condizioni che lo hanno forgiato. E per le complicazioni che possono derivare, dal punto di vista mentale, da una prestazione che neppure l'allenatore, apertamente infastidito, ha voluto commentare dopo il novantesimo. E, certo, non aiuta molto sapere che è proprio Manzella, un tarantino, ex Berretti e nipote d'arte (parliamo degli anni cinquanta, quando il pallone, in riva a Mar Piccolo, era uno svago di qualità ben superiore) a spingere i lucani verso i tre punti. Il Taranto retrocede, sotto l'angolazione del gioco, del modulo, dell'approccio alla partita, dell'interpretazione delle singole situazioni. E il risveglio, questo risveglio, infastidisce. Soprattutto perchè il mercato suplettivo è fatto e, quindi, già andato. E poi perchè non è più opportuno continiuare a scherzare. Oppure, a confidare sul tempo rimasto e sull'evoluzione di una squadra che non decolla. La realtà è quella che sembra: oggi come oggi, i playout sarebbero assicurati. Il disfattismo non serve, ovvio. Ma, in sede di analisi, è illogico scartare i dettagli più evidenti. Oltre tutto, adesso comincia a non reggere più l'alibi di un mercato (il primo, quello estivo) disegnato e gestito da manager sgraditi. Anche se corre l'obbligo di concedere a Pettinicchio e ai suoi il diritto di peccare, all'interno di un processo di lievitazione collettivo. Proprio perchè il Taranto è stato plasmato e poi reinventato in corsa. Per la soddisfazione della gente e della stampa: che necessitano di certezze. Anche a costo di forzare i tempi. E di fronteggiare le controindicazioni  del caso.