martedì 26 gennaio 2010

L'evoluzione del lavoro

Neanche la flessione (lunga) di fine anno (quello appena trascorso) aveva spento certe sensazioni. L’Andria di Papagni ci sembrava in evoluzione: che non significa salvezza certa, né automatica. O semplice. L’evoluzione di un collettivo, del resto, non è sempre istantanea. E neppure accecante. Ma può ritagliarsi nel tempo. Oggi, due vittorie di fila dopo, questa squadra ha oltrevarcato nuovamente lo steccato del pericolo, senza aver peraltro guadagnato l’immunità perpetua. Più o meno quanto accaduto già un volta. Eppure, la lievitazione si riaffaccia: graduale, costante. E la quieta saggezza del nocchiero di Bisceglie sembra incatenare l’ambiente ad una solida speranza. Che si specchia nelle folate di Sy e di Doumbia, nella maggiore robustezza dell’assetto, in una concezione più razionale di calcio, in un’espressione di gioco più fluida e convinta. Ci sarà da giocare e da giocarsela, sia detto sùbito. E quello che adesso sembra chiaro, non è detto che lo sia domani. Primo, perché il calciomercato di metà stagione, come sempre, sconvolge gli equilibri. E secondo perché troppe squadre sulla soglia del fosso non assicurano pronostici facili o scontati, ma solo punti interrogativi. Avanti così, allora. Ma l’Andria esiste. Perché Papagni, se non altro, gli ha conferito un’identità nuova. Perché la città che tifa e la società lo hanno lasciato lavorare. Lasciando crescere il gruppo. E perché il tecnico ha saputo conquistare la gente. Come qualche anno addietro. Sarà strano, ma è così: ad Andria succede solo a lui. E qualche merito gli andrà pure tributato.