lunedì 24 ottobre 2011

Il Lecce si suicida nel match della svolta

Dice giusto Adriano Galliani, il numero due del Milan. Ci sono due partite distinte, negli stessi novanta minuti: quella del primo tempo, dove il Lecce si esalta (tre a zero), e quella della ripresa, quando Boateng e soci si risvegliano, travolgendo i salentini (zero a quattro). Il problema è che, alla fine, dal match di mezzogiorno non esce neppure un punto. Ma solo un impasto di amarezza, impotenza, rabbia, delusione. Occasione immensa, distrutta con autolesionismo crudele: la squadra di Di Francesco scrive la pagina più controversa del suo affaticato campionato, rendendo inutile la prima porzione di match, assolutamente storica, addirittura eroica. Il Lecce raddoppia puntualmente, riparte bene, assalta il Milan, lo costringe ad affannarsi, colpisce e affonda con sicurezza altre due volte. Non c'è più storia, verrebbe da dire. E, invece, è la storia che si ritorce contro: ma, prima ancora della storia, sono la supponenza (o la leggerezza) a pianificare la rimonta dell'avversario. Che, peraltro, possiede nel suo dna il seme dell'impresa. La squadra sicura che guadagna gli spogliatoi con scioltezza si decompone, si raggomitola, s'inchioda alle proprie paure, al proprio destino. Smette di giocare e si rintana, esponendosi al sacrificio, all'ineluttabilità degli eventi. Il gap non è tattico, ma mentale. Oltre che tecnico, evidentemente. Davanti ai microfoni, più tardi, Di Francesco giurerà di aver avvisato per tempo la truppa, auspicando un governo del risultato assai più dignitoso. E prendendo, ancora una volta, le distanze dalla truppa. Tutto inutile, però. La gara che avrebbe potuto rilanciare le quotazioni del Lecce rischia di ratificare, così, la lontananza della squadra dalla realtà del campionato, sancendo l'inadeguatezza dell'organico per l'obiettivo dichiarato. O, se non altro, l'insufficiente struttura psicologica dei giallorossi. Della quale già dubitavamo da tempo, in attesa di una conferma. Arrivata: abbastanza presto, anche.