martedì 7 dicembre 2010

Un derby dal buon sapore

Quando, sul campo, c’è il Foggia il calcio sa farsi piacere. Anche tra molti errori individuali e collettivi. Che fanno parte di una filosofia. Nel derby di notte diventa frizzante, pur senza continuità, anche il Taranto di Dionigi: talvolta difettoso, ma spesso rapido, veloce. E vincente: dopo tempi lunghi. Nel posticipo del lunedì, complessivamente, ci si diverte. Ritmi alti, volume di gioco, triangolazioni, occasioni da gol, emozioni assortite. La manovra della gente di Zeman è ovviamente alta: dall’inizio alla fine. Probabilmente, non punge, ma poggiata su basi solide. E il possesso di palla è bello a vedersi. Dietro, invece, si soffre: e non poco. Il Taranto lo capisce e ne approfitta: verticalizzando o allargandosi, scambiando e aggredendo. Trovando spazi, sempre e ovunque. Eppure, paradossalmente, il vantaggio jonico arriva su calcio piazzato, premiando la maggior quantità proposta da Colombini e compagni. Per il Foggia, peraltro, sembra complicarsi tutto all’improvviso: sessanta secondi dopo lo svantaggio, perde anche Torta, espulso. E, invece, no: in dieci contro undici, sino all’intervallo, sono gli ospiti che comandano le operazioni. Serrando i tempi, facendo circolare il pallone, rinchiudendo il Taranto a difesa del risultato. Gli equilibri, alterati, si ristabiliscono ad apertura di ripresa: esattamente quando si abbatte sul derby la rete del due a zero. Sembra, a questo punto, un match già deciso. Ma il Foggia, più in là, beneficia di un penalty e ci crede sino in fondo, ma invano. Gode il Taranto perché segna nei momenti decisivi. E perché, alla fine, i suoi errori sono meno compromettenti. Perde il Foggia perché, dopo tutto, le distrazioni difensive (e, soprattutto, di Ivanov, guardiasigilli morbido) contano sempre di più. E forse perché il match si esaurisce dopo novantacinque minuti e non più tardi: salvaguardando un avversario che, ormai, ha esaurito energie e certezze. Però, chi ha visto la partita rimane soddisfatto. Malgrado certe impurità, possiede importanza anche la forma. Attorno alla quale sia Zeman che Dionigi hanno il dovere di continuare a lavorare: il primo sugli automatismi dell’ingranaggio, il secondo sulla testa di chi gioca.