mercoledì 1 dicembre 2010

La sconfitta e il silenzio

Ecco, ci risiamo. Il Taranto che viaggia è un Taranto puntualmente sconfitto. E complessivamente remissivo. In Sicilia, il Siracusa s’inventa qualcosa di più e lavora meglio per ottenere il risultato. Mentre la squadra di Dionigi, troppo compassata e mai propedeutica ad un calcio redditizio, si sfarina dopo un tempo. Lasciando all’avversario la possibilità di crederci e, quindi, di addomesticare il match. A fine partita, invece, cala nuovamente il silenzio stampa. Dopo l’intermezzo verbale della domenica precedente, in coda ad una vittoria. Silenzio stampa tattico che prova a limitare i danni: non concettuale, ma puramente opportunistico. Utile a parare i colpi, più che a salvaguardare – si dice così, di solito - l’armonia del gruppo e la tranquillità psicologica dei protagonisti. Inutile quando si vince e comodo quando si perde. Silenzio stampa, peraltro, mai ammesso dal club. E mai sollecitato, giurano da via Martellotta. Ma che torna ad abbattersi all’improvviso. Nel Paese delle stranezze contrabbandate per verità incontrovertibili, anche questa anormalità sembra passare inosservata, come la più ovvia delle normalità. La normalità di parlare ad una moltitudine ammaestrata, che non fa paura. La normalità di scegliere quando è il momento meno doloroso o più conveniente. Perché il punto è quello, non solo nelle pieghe quotidiane di un’Italia politicamente incerta, ma anche sui campi di pallone della periferia della Repubblica: parlarne non è mai un problema. Purchè si parli sempre bene.

A proposito: le critiche, in città, si affacciano copiose e l’AS Taranto replica con un comunicato stampa. Alcuni passi: «Operosità, basso profilo e rifiuto di ogni polemica. Su queste basi la AS Taranto ha provato a fondare la sua stagione (…). Perché a Taranto non si riesce a fare qualcosa di importante, dentro e fuori al mondo del calcio? (…) Restiamo sbalorditi nel leggere alcuni commenti che accompagnano la nostra avventura in questa stagione. E, passandoli in rassegna, comprendiamo parte dei perché a Taranto sia sempre così difficile costruire. Consolidamento e transizione. Abbiamo reso pubblici da subito i nostri obiettivi stagionali, con grande trasparenza. Nessuno ha parlato di promozione. Per questo leggere oggi di un presunto immobilismo societario o di inconfessate ambizioni di promozione ci appare scorretto e pretestuoso.(…). La AS Taranto non è una onlus, né un ente benefico. Ci spiace deludere chi pensa ciò, ma le risorse – anche umane e lavorative – necessarie ad onorare gli impegni quotidiani, settimanali, mensili e trimestrali impongono al Taranto di essere non solo passione, ma anche un’azienda (…). Ma non possiamo diventare il bersaglio dell’insoddisfazione cittadina. Nel rimpiangere un passato glorioso e distante diciotto anni, nel ricordare vecchie glorie e promozioni sfumate, questa città pare non accorgersi che noi siamo qui da solo un anno e mezzo. Che senza un quotidiano impegno di risanamento e copertura di debiti oggi il Taranto non sarebbe neanche iscritto al campionato (…).». Frasi condivisibili, sicuramente. Di buon senso. Ma non è l’impegno societario che viene disconosciuto. Né la volontà di operare per il bene comune. Semmai, lasciano perplessi gli argomenti e le modalità con cui vengono perseguiti gli obiettivi. La chiusura concettuale a molte forme di comunicazione, la coltivazione dell’attrito con una parte della tifoseria, l’ostinazione ad equiparare un club di pallone a un’azienda commerciale, l’idiosincrasia a nominare professionalità specifiche nei ruoli, certe scelte tecniche (aver ripiegato, ad esempio, su cognomi già bruciati), la sconfessione dei programmi (si era parlato di un processo di ringiovanimento dell’organico: ma, in realtà, non è accaduto) e certe contraddizioni di fondo (una per tutte: se la promozione immediata non è tra gli obiettivi, perché cadere in frequenti stati di fibrillazione nociva?) sono dati di fatto che erano e restano un fossato tra chi governa e chi tifa, oppure osserva.