domenica 7 dicembre 2008

Cade Dellisanti, decide Selvaggi. Da solo?

Facciamo ordine. O, almeno, proviamoci. Selvaggi, vicepresidente esecutivo, è l’uomo nuovo di Blasi, plenipotenziario del Taranto inviso all’ambiente ed emotivamente lontano dagli affari più terreni del club. Selvaggi ha già picconato il direttore generale Galigani, uomo fedele alla linea dell’imprenditore manduriano. E, pensandoci bene, in settimana ha anche attaccato le posizioni del suo datore di lavoro. Infine, in coda al derby (perso) con il Gallipoli, si è assunto la responsabilità di sottrarre la panchina a Franco Dellisanti. Dribblando -cioè sopravanzando- oppure anticipando il pensiero del patron. Verso il quale proprio Dellisanti ritiene di riporre ancora gratitudine: lasciando così intendere che la decisione è unilaterale. Ovvero, di Selvaggi. Che, vale ricordarlo, non possiede portafoglio, ma solo un certo appeal. Comunque si legga, allora, il momento attuale del Taranto è un acquarello di tinte fosche. Dietro cui emerge un’aria strana. Innanzi tutto perché, a questo punto, è difficile intuire chi comanda. Cioè chi si assume l’incarico delle decisioni. Anche se tutto lascia supporre che esista una strategia di fondo ben studiata, ma dai contorni distorti: strategia evidentemente condivisa dal vertice (sinceramente, non riusciamo a credere al contrario), ma occultata dal gran ballo delle convenienze personali. Sicuramente, l’ingresso di Selvaggi in società ha provocato qualche scossone: e, di questo, non dubitavamo. Certamente, ha complicato il percorso di Dellisanti: e anche questo particolare non ci sorprende. Né ci sorprende, di per sé, il provvedimento di esonero: già scritto. E non solo da un derby maligno. O da una classifica divenuta complicata che, ovviamente, avalla il cambio di panchina. Intanto, Dellisanti ammette rammarico e sorpresa. Noi, però, non ci accodiamo: perché controfirmare sempre e comunque i piani societari non offre automaticamente un salvacondotto duraturo. L’aziendalismo, del resto, non paga mai: chi comanda si tiene sempre la ragione e il dipendente deve inchinarsi. Del resto, questa vicenda era ampiamente prevedibile. Anzi, prevista. Come scrivemmo nel mese di luglio e anche il primo settembre: basta sfogliare questo umilissimo blog per ottenere conferma. Anche se, oggi, la rabbia del tecnico si riversa su un nome e un cognome salito su un autobus in corsa da due settimane e non di più. Cambiando l’ordine dei personaggi, però, il prodotto non cambia.

Immediata, precisa. La conferma arriva. Cioè, Blasi sottoscrive il provvedimento. E applaude. Scongiurando, se non altro, un nuovo imbarazzo. Restano, invece, i problemi. E tutte le distonie.