martedì 28 settembre 2010

E il Taranto si dichiara. Ufficialmente

Dunque: la Cavese non sembra poi tanto male. Anzi. La classifica, se non altro, pare non rendere giustizia ad una formazione afflitta da una crisi societaria profonda, ma che sa far viaggiare la palla e organizzare pure qualche iniziativa decente. E poi il momento storico, per il Taranto, è importante: vincere significa accodarsi all’Atletico Roma, quindi dichiararsi apertamente. Per di più, di fronte ad un pubblico numeroso (ottomila paganti) e ad una diretta televisiva nazionale. Nel posticipo serale, la formazione allestita da Brucato deve arrampicarsi a lungo: sui propri problemi (in mezzo al campo, lo ribadiamo, manca un catalizzatore di gioco, uno che detti i tempi), su un avversario vivo e sulle insidie di un’occasione speciale. Non basta un tempo, per forzare il dispositivo difensivo dei campani. Anche se, dalle corsie laterali, sgorga più calcio che in passato. Anche se quei quattro, lì davanti (Innocenti più Rantier, Garufo e Ciotola) assicurano il movimento necessario per inventarsi qualcosa. La vittoria arriva nella ripresa: quando la Cavese si acquieta e si tutela. Quando il Taranto si fa più ponderoso in fase di possesso. Non è un successo epocale, ma il messaggio è chiaro. La squadra, mentalmente, c’è: perché, per esempio, non si lascia travolgere dalla paura di non vincere, lasciandosi sorreggere dalla lucidità necessaria sino al momento in cui la situazione cambia. La squadra, mentalmente, c’è: forse perché sa che, prima o poi, qualcosa accade. Oppure che, prima o poi, riuscirà a trovare la strada. La squadra, mentalmente, c’è: anche perché il clima che si è creato attorno è favorevole. Merito di un atteggiamento diverso: della società, innanzi tutto. Nei confronti della città, dei tifosi. Un atteggiamento finalmente non spocchioso, responsabile. E merito, ovviamente, dei protagonisti, sul campo. Il Taranto sembra conservare un’anima operaia, pur risiedendo a tutti gli effetti nell’aristocrazia del campionato. E il gruppo si segnala per essere un buon gruppo, unito. Molto più della stagione passata, per intenderci. Anche il tecnico si è avvicinato un po’ agli umori della piazza: e la cosa non guasta. Sono tutti input che la gente capta. Infine, anche il vocabolario è più prudente. Di promozione, sin qui, non s’è mai parlato, concretamente. E, se qualcuno ha lasciato intendere qualcosa, l’ha fatto con cautela, con garbo. Governare le parole ha il suo peso. E amministrare i sentimenti pure, in un ambiente come quello dei due Mari. Dove, adesso, molti cominciano a sognare. Proprio per questo, adesso, la società e la squadra dovranno saper giocare la partita. Giorno per giorno, situazione per situazione. Evitando, magari, di forzare eccessivamente i toni della querelle appena nata con l’amministrazione comunale sulla questione-stadio. Che rischia di turbare un momento di serenità, uno dei pochi in riva a Mar Piccolo, negli ultimi venti anni.