mercoledì 27 ottobre 2010

Il derby di Goio

Il derby, per definizione, nasconde sempre qualche insidia. E il Taranto, per costituzione, ci ha abituati a tutto e al suo contrario: a sorridere soffrendo, a lamentarsi con il conforto del gioco, ad attorcigliarsi attorno ai suoi cambi di umore, a partenze difettose e traguardi insperati, oppure ad approcci convinti e arrivi affannati. Frutti, cioè, di un’espressione calcistica ancora non completamente matura e di un’indisciplina tuttora invadente. Ecco, diciamo pure che il volto della squadra non sembra del tutto definito. E che il suo marchio di fabbrica appare eternamente forgiato dal fuoco della discontinuità. Prendiamo, appunto, il derby con il Barletta: la prima mezz’ora è assolutamente deliziosa, il primo quarto d’ora addirittura suntuoso. E redditizio. Ma il Taranto si limita troppo presto: probabilmente non è paura, ma insicurezza. E non sa difendere il vantaggio: l’avversario, combattendo con i suoi problemi e piegando il gap tecnico, pareggia e ribalta il risultato. Solo in chiusura, l’orgoglio degli jonici rimedia un punto. La realtà ribadisce, una volta di più, un concetto già chiaro: l’unico carburante che può spingere la formazione di Brucato è l’atteggiamento propositivo. Il Taranto che gestisce è un’altra cosa: perché non giunge mai in fondo. Perché il governo del territorio non è nel suo dna. Meglio farsene una ragione: e adattarsi. Le vicende dell’ultimo match, però, corrono parallele all’esordio tra i pali di Dodo Goio, diciassettenne titolare della formazione Berretti, chiamato a sostituire gli squalificati Bremec e Barasso (due portieri puniti contemporaneamente: cose che succedono solo in riva ai due Mari). La squadra, da principio, sembra non pensare all’inconveniente: macina gioco e comanda. Poi, probabilmente, il sospetto si insinua e il Taranto perde potenza, chiudendosi. Errore. Anche perché sarà proprio una respinta un po’ maldestra di Goio a regalare al Barletta il gol del temporaneo vantaggio. Un’ingenuità che rischia di ammazzare la gara e che macchia la prima convocazione tra i professionisti del ragazzo. Peraltro, scarsamente difeso dalla tensione, in settimana. Ovvero, delegittimato da troppe esitazioni (la decisione di schierarlo fiorisce a metà settimana) e dai rigurgiti del calciomercato (l’investitura sorge quando la società scarta la possibilità di tesserare un altro portiere, attualmente senza contratto). E, certamente, privato delle migliori condizioni psicologiche: ancora prima di esibirsi. Non il massimo della vita.