Cinque gol ad Ascoli diradano
le nuvole. E si accodano ai punti raccolti da quando, in panchina, c’è Lerda.
Il Lecce cresce: risultati e calcio prodotto confermano. Il fondo della
classifica è decisamente più distante. I quartieri più nobili del campionato un
po’ più prossimi (si viaggia appena una lunghezza sotto). Chiaro: adesso, nel
Salento, sarebbe persino logico sbirciare spudoratamente verso i playoff. Ma,
forse, per il momento sarebbe pure meglio non pensarci troppo: in attesa che
Bogliacino e compagni acquisiscano un passo definitivamente deciso, regolare.
In attesa, cioè, delle conferme che servono. Intanto, però, l’ambiente si è rasserenato
un po’. Ritrovando tonicità, smalto, respiro. Il successo di domenica,
peraltro, spinge a credere che il periodo più buio sia ormai sorpassato. E a
constatare che la squadra sta cominciando a capire se stessa, a fidarsi delle
proprie potenzialità. I punti, lo sappiamo, aiutano a carburare meglio: ma è
anche vero che il Lecce, ora, sa cosa fare sul campo. Prendendo iniziativa,
soprattutto. Ovvero, cercando di costruirsi da solo il destino che l’attende. Ad
Ascoli, certo, sono due penalty di sèguito ad aprire la strada, che nel frattempo
si fa insostenibilmente angusta per l’avversario. Ma la formazione di Lerda
possiede il pregio di non confondersi e di non smarrirsi, come in passato.
Dimenticando i suoi indisponibili (Miccoli, Sacilotto, Perucchini, Bencivenga)
e riscoprendo Bogliacino, che firma una prestazione convincente. Come Zigoni,
del resto. Il 4-2-3-1, sintetizzando, funziona meglio di altri moduli provati
in precedenza. E, dunque, il coach comincia seriamente a solidificare il suo
progetto tattico. Assolutamente determinante, una volta che gli atteggiamenti
giusti sembrano recuperati. Possibilmente, per sempre.
martedì 29 ottobre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
Monopoli, profumo di leadership
Il Monopoli crede
compiutamente di poter ancora pretendere molto da se stesso. E il successo
recuperato a Grottaglie, nell’ultima trasferta, consolida certe convinzioni.
Scalfite, ma non per questo cancellate, appena una settimana prima: quando la
meno nobile Puteolana aveva imposto, al Veneziani,
il pari alla gente di Claudio De Luca. Questa volta, sull’erba di casa, si
presenta il Gladiator: giovane (in panchina solo under) e niente affatto abbottonato. Ancorché infiacchito da troppe
assenze. Un avversario che affronta l’impegno tenendo la palla a terra,
cercando di giocarla: e non solo per tenere lontano dalla propria area l’artiglieria
di casa. I casertani sono tutt’altro che inguardabili, per capirci. Ma, evidentemente,
assai poco corazzati alle intemperie. E, dunque, affondano troppo presto. Sì:
il Monopoli passa dopo dieci minuti (Montaldi), raddoppia dopo quattordici giri
di lancetta (deviazione di un difensore campano, su traversone secco di
Stambelli) e, al minuto venti, chiude definitivamente la questione (Di Rito).
Il match, dunque, smarrisce immediatamente ogni stimolo, si priva di
palpitazioni ed emozioni e veleggia placido, da sùbito, verso la sua naturale
conclusione, macerandosi nelle ovvietà di una situazione che non possiede più
alcuna storia. Non ci sono molte parole da aggiungere: chi gode del largo
vantaggio lo governa senza assilli, riducendo tensione e fatica. E chi si
ritrova sotto si accontenta di limitare i danni. Lo score, per la cronaca, cambia ancora nella seconda metà della
ripresa (va a segno anche il cloured
Adeshokan, appena inserito in luogo di Di Rito): ma non accade altro: davvero.
Successo facile: molto più facile del previsto. Che minimizza anche
l’indisposizione di Laboragine (ma sarebbe stato interessante confrontare in un
test più credibile il centrocampo
varato per l’occasione da De Luca, che schiera Marini al fianco di Lanzillotta
e Camporeale, a ipotetico vantaggio dell’equilibrio tattico). Eppure, le
notizie più liete arrivano in coincidenza della fine delle altre gare in
calendario: il Matera pareggia in casa, il Marcianise pure, il Brindisi perde.
Vince solo la Turris,
a Vico. Dunque, il Monopoli schizza in testa alla classifica, seppur in
coabitazione: a quota diciannove anche il Marcianise e, appunto, la Turris. In definitiva, la
domenica diventa affascinante. Perché la zona più nobile del campionato sembra
recuperare definitivamente la formazione adriatica: cioè una delle più attese,
alla vigilia. Attenzione, però: il girone resta assai livellato. E ancora non c’è
il collettivo che può scavare la differenza tra sé e il resto del gruppo. Il
confine tra chi precede e chi insegue è sempre più labile: facciamocene una
ragione. E, soprattutto, tutti possono battere chiunque. Sarà conveniente
ricordarsene. Inoltre, le vittorie troppo semplici possono persino fuorviare,
distorcere la realtà. Significa che il Monopoli non può cullarsi. Ecco, l’abbiamo
detto.
domenica 27 ottobre 2013
Bisceglie e Manfredonia, ombre e chiarori
Oggettivamente, il momento del Bisceglie è delicato. E il cambio di panchina (ancora recente: Favarin per Francesco Bitetto) sembra non aver ancora del tutto guarito i problemi di un gruppo accreditato sin dall’avvio di buone chances, ma immediatamente arenatosi nelle complicazioni di percorso (una su tutte: la tenuta dei novanta minuti), a neppure un quarto di stagione. E neanche il momento del Manfredonia è propriamente florido: e non solo per una questione di continuità (la sensazione è che squadra di Cinque potrebbe puntare a qualcosa in più, se magari sfruttasse meglio gli impegni sul proprio terreno di gioco). Il derby del Miramare, anticipo televisivo del sabato, pur promettendo di chiarire qualcosa, fallisce sostanzialmente il compito. E, anzi, rafforza certe convinzioni: Bisceglie e Manfredonia vivono di ombre e chiarori, di slanci genuini e involuzioni improvvise. Sipontini e stellati, in coda a novanta minuti disomogenei, si dividono tempi e spazi, opportunità e reticenze: prelevando dall’erba sintetica un punto ciascuno. Che deve obbligatoriamente sanare la fame di tutti. Si parte: e il Bisceglie ci mette più personalità, più geometrie. Le ripartenze funzionano e tengono i padroni di casa lontani dalla porta di Iurlo. Il sigillo del vantaggio, anzi, è meritato. Il Manfredonia è un po’ sfiatato e manovra con impaccio: capisce, però, che intensità e quantità possono aiutare. Il pareggio, maturato proprio in apertura di secondo tempo, sovverte di fatto molti equilibri: rinvigorendo i dauni e sgonfiando gli ospiti, ormai in difetto di lucidità. Poi, Portosi ne approfitta e inganna Iurlo: rimonta completata. Il Manfredonia, però, non regge. E il Bisceglie si affida all’orgoglio e alle finalizzazioni di Titone (due gol per lui). Eppure, è proprio la gente di Favarin ad aprirsi (più volte) e consegnarsi al rischio di perdere una partita in cui finisce per concedere tanto. Alla fine, è due a due: senza troppa allegria. Ed un pareggio che non argina le apprensioni e che neppure risolve i quesiti: rimandando a nuovi collaudi.
sabato 26 ottobre 2013
Foggia, i punti arrivano anche a Cosenza
E’ da un po’ di settimane che il Foggia sorride. Per i punti che arrivano, finalmente puntuali (la svolta sembra essere stato il derby con il Martina: tre a zero a favore senza complicazione alcuna). E per le trame di gioco, adesso mediamente molto più che rassicuranti. Malgrado, negli ingranaggi dello scacchiere di Padalino, si addensino ancora amnesie locali e insicurezze individuali (l’assetto difensivo non è sempre irreprensibile, dietro e nel mezzo la lievitazione di qualcuno coincide puntualmente con le contemporanee esitazioni di altri singoli, che compromettono la tenuta dei reparti, la vena realizzativa non brilla per continuità). Però, è un mese che la squadra prende punti. Più o meno da quando il miglior artigliere della scorsa stagione, Giglio, ha riconquistato intimità con il gol. Ed è un mese che il collettivo respira: dopo aver abbandonato i bassifondi scomodi e aver recuperato autostima nell’affollato centroclassifica del girone. Dove, è bene ricordarlo, è e sarà necessario garantirsi regolarità, per recuperare uno dei tagliandi per l’ammissione alla prossima serie C unica: che resta l’obiettivo del club. Ora è un po’ più solido, il Foggia. E lo dimostra anche a Cosenza, nell’anticipo del venerdì, in casa della prima forza del torneo. Soffrendo in partenza (i calabresi impattano sul match con più autorità, giocano meglio la palla e spingono, realizzando abbastanza presto il sigillo del vantaggio e gestendo, sino all’intervallo, una partita caratterizzata dai ritmi bassi) e riemergendo alla distanza, nella seconda frazione di gioco. Il pari sgorga, cioè, appena Agnelli e soci decidono di affrontare l’impegno con maggior densità e più densità. Dopo che un acuto di Giglio è stato invalidato dal direttore di gara (offside). Il particolare più interessante, tuttavia, è che il Foggia cresce e reagisce nonostante l’inferiorità numerica su cui è inciampato (Pambianchi interviene su un avversario senza coordinazione e lucidità, rimediando il secondo cartellino giallo nell’arco di pochi minuti: giusto così). Lasciando all’avversario poche recriminazioni. Dunque, questa squadra non è il meglio che la tifoseria possa pretendere. Ma, anche così, appare perfettamente inserita nella realtà di questa quarta serie: in cui basta innanzi tutto conservare la compattezza e le qualità caratteriali. Preoccupandosi, talvolta, di inventarsi qualcosa. Gente come Agnelli, Quinto, Giglio, Leonetti e Agostinone, allora, serve proprio in quest’ottica. Nella speranza che le leggerezze, in fase di non possesso, si riducano sensibilmente (vero, D'Angelo?). Chi ha guardato il match di ieri, l’ha capito: una volta per tutte.
martedì 22 ottobre 2013
Grottaglie, ora Bosco rischia
Partenza più che decente:
qualche punto, anche pesante, buone recensioni raccolte qua e là e,
soprattutto, un paio di successi di spessore e di prospettiva (quello sul
neutro di Matera, nella casa temporanea del San Severo, e quello di Francavilla
sul Sinni, di fronte a due concorrenti dirette della lotta per la
sopravvivenza). Poi, l’infiacchimento: dell’intensità, della concentrazione. E
la flessione: comportamentale, ma anche tecnica. Il Grottaglie, cioè, recupera
in fretta quelle posizioni di classifica a cui gli osservatori l’avevano
obbligata, in sede di previsione: sull’orlo del burrone. E’ il destino amaro di
una società che non può concedersi spese suppletive, di una squadra costruita
in sana economia e che, anzi, è persino riuscita a dotarsi di qualche
possibilità in più del previsto. Senza, però, corazzarsi di grandissima
esperienza complessiva e di fantasia facilmente spendibile. La composizione del
suo calendario, tuttavia, spiega qualcosa: più soft in avvio, si è indurito con il passare delle giornate. Nelle
ultime due settimane, l’Ars et Labor ha incrociato la strada di Matera e
Monopoli, ad esempio (risultato: due sconfitte). E, peraltro, va incontro al
derby di Taranto (domenica prossima, allo Iacovone).
E, questa, un’attenuante da considerare, oggettivamente. Anche se è difficile
negare quello scollamento con la realtà che lo stesso Bosco, il tecnico, ha
denunciato già un paio di settimane addietro. E che pure il club ha
riconosciuto: addossando la responsabilità anche e soprattutto all’infinita
trattativa tra l’attuale gruppo dirigente e la cordata Picchierri, intenzionata
a rilevare le quote sociali (l’impressione, però, è che il passaggio di
consegne non decollerà mai: tanto che il colloquio è stato interrotto per la
seconda volta, forse definitivamente). In sintesi: realisticamente, al
Grottaglie mancano i punti persi in casa con la Gelbison, concorrente
alla portata. O con il Gladiator. Non certo quelli di Matera. O quelli lasciati
al Monopoli, seppur in coda ad una gara interpretata con scarso vigore. In cui
l’avversario si è imposto con la concretezza, più che con la manovra. Ora,
ovviamente, è l’allenatore a rischiare. Bosco, per la verità, sembra aver dribblato
l’esonero: almeno per questa settimana. Ma il responso del derby di Taranto
dovrebbe essere indicativo. Anche se la prestazione dovesse essere
soddisfacente, ci sembra di capire. A questo punto, tuttavia, diventa difficile
spiegarsi la fiducia accordata - com’era giusto che fosse - al coach sin da
agosto e poi ritirata in coincidenza con le partite ragionevolmente più
impegnative. A meno che, ovviamente, il
club non ritenga l’allenatore responsabile dell’atteggiamento rilassato
dell’organico, da un po’ di tempo a questa parte. Del resto, a microfoni
aperti, un difensore di lungo corso come Antonio Anglani raccontava una verità:
quei punti, anche un po’ inattesi, raccolti in avvio di stagione potrebbero
aver sovralimentato gli appetiti o allontanato l’ambiente dalle finalità
dichiarate o, più semplicemente, dalla esigenze del campionato.
domenica 20 ottobre 2013
La personalità nuova del Taranto
Aldo Papagni è uomo quieto, di buon senso. Un
psicologo, ancor prima che un gestore tecnico. Un amico, prima ancora che un
condottiero. E persona saggia: che allena gli uomini, ancora prima che i
giocatori. Quanto di meglio, cioè, per rilevare il compito di Enzo Maiuri e per
provare a risollevare il Taranto, nove punti in sette partite, morale bassissimo,
ambiente già in fermento. Ascolta la proposta, risolve il contratto che lo
legava dalla scorsa stagione al Sorrento, accetta la sfida e ritrova una piazza
che ha già avuto occasione di amarlo e che lo ama ancora (una promozione dalla
C2, sette anni fa): arrivando quasi a metà settimana. Giusto in tempo per
capire quello che serve, psicologicamente e tatticamente, alla squadra che
arriva da tre delusioni cocenti di fila e che affronta, nell’anticipo del
sabato, un avversario sdrucciolo come la Puteolana di Potenza. Il coach biscegliese,
allora, deve strettamente affidarsi alle intuizioni. La prima, la più
importante: continuare a blindare la linea difensiva, però
senza dimenticare di sviluppare la fase di possesso. Approfittando, il più possibile, dell’immenso
potenziale offensivo dell’organico. L’approccio alla seconda esperienza in riva
ai due Mari, tuttavia, è brutale: quaranta secondi appena e Puteolana in
vantaggio. Roba da ammazzare un gruppo già sufficientemente provato e, dunque, insicuro.
E, invece, no. Il Taranto reagisce. Perché è vivo. Ed è dinamico. Adesso,
Mignogna e soci cercano e trovano la profondità. E poi lo svantaggio appena
sofferto solletica l’orgoglio di under
e over. Dopo venticinque minuti di
dominazione assoluta arriva il pari (il discusso Ciarcià colpisce
indisturbato): giusto così. Il sacro furore, da qui in avanti, si placa:
eppure, la squadra appare molto più cerebrale del recente passato. Tenere il ritmo
di gioco molto alto è difficile: ma il Taranto fa sempre qualcosa in più (e di
meglio) dell’avversario. Che, tuttavia, si procura un penalty, sbagliandolo.
Dagli undici metri, piuttosto, non fallisce Molinari, poco più avanti. Sembra
il sigillo definitivo su un successo beneaugurante ed incontestabile: però,
proprio a recupero inoltrato, i campani rimediano il due a due finale. Che
sinceramente, alla gente di Papagni stona un po’. Un punto è poco, certo: ma
quello che spunta attorno può valere molto di più. Il progresso evidente, anche
sul piano della personalità, potrebbe diventare moneta pregiata in tempi brevi.
sabato 19 ottobre 2013
Bari, non è il momento dell'accademia
La gioventù è bizzarra e,
tante volte, non assicura continuità. Nel pallone, aiuta a contenere le spese di
gestione: ma non garantisce linearità all’evoluzione di un progetto. E il Bari
giovane è quel che avevamo sospettato di dover commentare, nel corso di questa
stagione puntellata da molti punti interrogativi: una squadra che vive di acuti
e debolezze. L’avevamo salutato immediatamente dopo il successo ottenuto sul
Palermo: ed ora, neppure un mese più tardi, siamo costretti a condividere qualche
preoccupazione. Il rovescio di Cesena, maturato ieri, riconsegna la formazione
di Alberti e Zavettieri ad una classifica perigliosa e afflittiva (a turno concluso,
stazionano dietro soltanto Padova e Juve Stabia). Ma, soprattutto, cominciano a
sgomitare un po’ di domande. Una, tra le altre: è il caso, di fronte alla
cronica necessità di collezionare punti, applicarsi con superficialità o,
peggio, rilassatezza? Il problema è che, mentre i romagnoli professano
concretezza e sfoggiano solidità, il Bari si perde in troppe frivolezze,
accettando la realtà soltanto dopo l’intervallo: quando, cioè, la situazione è
abbastanza compromessa. Ovvio, il giovane Bari deve forgiarsi: e formarsi
significa passare anche e soprattutto attraverso esperienze come questa. Da un
gruppo rampante, ecco, è persino logico attendersi incertezze, amnesie,
supponenze, ingenuità. Ed altro ancora. Ma non proprio il difetto di coraggio o
la voglia di sopperire al deficit
strutturale con la quantità. Se una squadra come il Bari, per capirci, crede di
poter risolvere uno scontro delicato con l’accademia, non ci siamo. Potrebbe
trattarsi, comunque, di un momento. Di una distrazione. Del resto, l’avvio di
stagione un po’ affaticato è stato, anche abbastanza presto, compensato. E, prima
della nuova situazione di impasse, di
questa squadra si parlava universalmente bene. E non lo dimentichiamo. Come non
dimentichiamo, comunque, i primi quarantacinque minuti di Cesena. Dove il Bari
è quasi sembrato sazio. O non totalmente coinvolto. Il particolare non può
lasciare indifferenti.
giovedì 17 ottobre 2013
San Severo, un punto di prestigio
L’oblio del calcio regionale, neppure in posizioni di avanguardia. Troppi anni di anonimato e di depressione calcistica. Poi, investimenti mirati e un progetto più sostanzioso. E il rilancio. In pochissime stagioni, il San Severo si arrampica e riconquista i riflettori della serie D. Ovviamente, riacclimatarsi è un’operazione lenta, da gestire con pazienza e realismo. E, oltre tutto, questo campionato di quinta serie è di spessore più che discreto, nelle sue fasce più deboli: la concorrenza per la permanenza è qualificata e si fa sentire. La formazione di Rufini, però, comincia bene, vincendo fuori casa all’esordio. Per poi, tuttavia, riconoscere le difficoltà (previste) del percorso. Sette match dopo lo start, la dote è di cinque punti (quel successo repentino e due pareggi): dietro, in classifica, solo il superpenalizzato e disgregato Nardò, già virtualmente retrocesso. E, sullo stesso gradino, soltanto il Metapontino. Traduzione: c’è da soffrire. Ma l’ultima uscita, in ordine di tempo, lascia un sapore buono. L’uno a uno sul campo del Taranto, la grande malata del torneo, arriva proprio al novantesimo (Polani entra a partita in corsa, timbrando l’episodio decisivo: soprattutto per il coach jonico Maiuri, sollevato dall’incarico appena un’ora più tardi), difendendo il diritto dei giallogranata di sentirsi legittimi proprietari di un punto sostanzialmente meritato. Il San Severo si cautela sin dall’inizio e si ritrova in inferiorità numerica, ma complessivamente non sfigura. Gioca per il punto e l’ottiene, con umiltà. E, quando si distende, coglie persino una traversa.. Approfitta, questo è evidente, delle esitazioni e del malessere diffuso dell’avversario. Rispondendo con una prestazione più concreta e solida, però, a certe critiche piovute in coda alla gara precedente (dauni in vantaggio e poi rimontati e superati dal Monopoli, sull’erba artificiale di Agnone, sede neutra). Oltre tutto, la squadra - che ancora non può esprimersi sul proprio terreno di gioco, indisponibile: è sempre una attenuante - salva il proprio condottiero, ritenuto sotto osservazione. Ingiustamente, forse: perché l’elenco degli arruolabili a sua disposizione è dotato di esperienza in qualche ruolo chiave, ma è oggettivamente anche bisognoso di qualcos’altro. L’abitudine ad imporsi consolidatasi negli ultimi anni, del resto, può aver indirizzato il club verso cattivi consigli. Oppure, probabilmente, certe attese maturate prima dell’inizio di questo campionato si sono sovralimentate illegittimamente. Attese che il pareggio di Taranto, peraltro, potrebbe aver risvegliato all’improvviso. Solo il tempo, allora, farà sapere se il risultato di prestigio ottenuto allo Iacovone è uno stimolo nuovo o un insospettabile impaccio.
mercoledì 16 ottobre 2013
Brindisi, come complicarsi il cammino
Tutto procede, meglio di prima. Prima supera il Taranto, nel derby. Con merito innegabile, neutralizzando un po’ di scorie recenti. Poi, sette giorni più avanti, regola agevolmente il modesto Nardò, con sette reti di scarto. L’umore buono cresce, certe geometrie si consolidano, Pellecchia torna a segnare, Gambino continua a colpire, lo scacchiere lievita in personalità, la sopraggiunta serenità aiuta a solidificare squadra e programma. Programma che resta finalizzato ad un campionato di alto profilo, pensato per infastidire le formazioni più accreditate del girone H della quinta serie e per preparare l’assalto al professionismo, tra dodici mesi. Sempre che l’imprenditoria locale, come ricorda un’altra volta patron Flora in diretta televisiva, si ricordi di sovvenzionare – come promesso - il progetto: che, altrimenti, rischia di impantanarsi prima del tempo. Prima della fine della stagione, addirittura. La gente che tifa, però, apprezza gli sforzi del club e il calore popolare riconquista, giorno dopo giorno, spessore. Brindisi, cioè, sembra velocemente riappacificarsi con il calcio. E, invece, l’impalcatura comincia a scricchiolare in un martedì di normale amministrazione. E’ sera, il presidente spiega le prospettive future e il suo modo di intendere il pallone nel salotto di un’emittente locale. Parla di Ciullo, un tecnico a cui – dice – si è completamente affidato. Anche al di là delle semplici questioni tattiche. Il coach, cioè, gli ha suggerito dei nomi, buoni per rafforzare l’organico. E, se tutto va come deve, Flora proverà ad accontentarlo. Per operare, aggiunge, non ha bisogno di intermediari o di procuratori. Gli basta la parola del suo allenatore. Parole che, evidentemente, feriscono il direttore generale Carbonella, che poi è – di fatto – anche il gestore delle manovre di mercato della società. E, allora, il diggì interviene telefonicamente, senza risparmiarsi la stizza. I toni del confronto tra i due dirigenti si fanno immediatamente aspri. La diretta televisiva si infiamma, senza preavviso. Flora suggerisce al suo collaboratore più stretto di dimettersi, se non gradisce la linea. E Carbonella raccoglie l’invito, assicurando di averlo già fatto (quando?). Il conduttore, sorpreso e frastornato, fatica a capacitarsi di quanto accade e a limitare il danno (di immagine, ma non solo) ormai già procurato. Quindi, la trasmissione sfuma in fretta, come a liberarsi di se stessa. Imbarazzi a parte, diventa difficile capire perché, ad esempio, lo strappo sia stato consumato davanti ad una piazza assetata solo di buone notizie. E non, com’era naturale che fosse, all’interno della sede del club. E, poi, non sarebbe male sapere quali sono le cause che hanno disegnato la frattura tra presidente e direttore generale (lo sfogo di Carbonella appare la conseguenza diretta di un antefatto: e Flora, tra le righe, lo lascia intendere). Infine, lo stesso Carbonella parla espressamente di un giochino di potere, attribuendolo al numero uno. Restiamo in attesa di chiarimenti. Nel frattempo, le nubi si riaddensano. E sull’Adriatico si riscopre quel gusto antico di complicare sempre tutto.
martedì 15 ottobre 2013
Rallenta anche il Monopoli
Le più titolate indugiano. Il
Taranto non sa più vincere e, sotto la spinta emotiva di una nuova delusione,
si libera di coach Maiuri. Il Bisceglie (che, comunque, con Favarin in panca
torna al successo) è ancora attardato. Il Matera, pur reagendo alla prima
caduta stagionale, contabilizza quattro gol al passivo in una sola settimana. La Turris, sin qui mai
seriamente fiorita, si schianta a Marcianise, nel match che dovrebbe soppesarne
la raggiunta maturità. Il Brindisi passeggia su quel che resta del Nardò in campo neutro e si
regala un po’ di regolarità nel passo, ma deve crescere ancora. Il girone
appulocampano di serie D è questo: piaccia o no. Non c’è, del resto, una realtà
come l’Ischia della scorsa stagione, ad esempio. E, allora, se ne avvantaggia
il Marcianise, neopromossa di sostanza che non sbaglia praticamente nulla.
Puntando sul collettivo e sul suo buon umore. Quel Marcianise che nessuno
sospettava di dover temere. E che un po’ ricorda il Gladiator di un anno fa. Infine, c’è il
Monopoli, un’altra big che potrebbe
scrollarsi gli ultimi torpori e sbocciare definitivamente, inserendosi sulla
scia della capolista inattesa. Basterebbe sbarazzarsi - in casa, nel posticipo
- della Puteolana, titolare di una classifica dimessa. Cioè, conquistare il
terzo risultato pieno di fila. Ma anche la formazione curata da De Luca sbanda
un’altra volta, sconfessando il progetto. Finisce zero a zero, l’occasione è
sciupata. E non serve neppure criticare la ruvidezza dei campani, scorbutici,
smaliziati (anche i suoi under
appaiono decisamente scafati) e oggettivamente fallosi. No, anzi: la Puteolana si disegna la
sua gara e la porta avanti sino in fondo, malgrado l’inferiorità numerica
maturata già nella prima frazione. Resistendo con dignità e decisione anche
alla maggiore pressione monopolitana, esercitata nel quarto d’ora che segue
l’intervallo. E poi la formazione di Potenza non si rifugia in trincea, ma
pensa persino a qualche ripartenza tutt’altro che formale. Sono, piuttosto,
proprio Lanzillotta e soci a creare problemi a se stessi. Il Monopoli è pigro,
contratto, arruffato. Si lascia irretire dall’avversario e, quando il tempo
comincia a scorrere, trova pochi metri quadrati in cui esprimersi. Ma,
soprattutto, non approfitta dei vantaggi che, dal punto di vista tattico, la Puteolana – sistemata
con un centrocampo a rombo, quindi molto raccolto – gli offre. La gente di De
Luca, cioè, va ad intasare gli spazi centrali, già abbondantemente coperti dai
campani, rinunciando ad allargarsi. Certe gare si possono vincere sulle corsie
esterne: invece, niente. Qualcosa di più e di meglio arriva, appunto, agli
albori della ripresa: prima che gli spazi si attoglino rigorosamente. Ancora: a
fronte di una sola punta da sorvegliare, la linea difensiva rimane ancorata
alle quattro pedine di partenza. E, magari, neppure questo particolare aiuta.
Ma tant’è: certe partite nascono così, sono segnate. Di sicuro, però, così come
il Brindisi o la Turris,
come il Bisceglie o lo stesso Matera (del Taranto non parliamo nemmeno), anche
il Monopoli non sembra ancora pronto a sostenere un serio dialogo al vertice.
Lo dicono i numeri, ma lo dice soprattutto il gioco.
lunedì 14 ottobre 2013
Imbarazzante, irritante Martina
I tre gol (a zero) di Foggia, sofferti sette giorni prima, pesano parecchio
sul Martina. Che, ormai esaurito il break
di un paio di settimane decisamente più rassicuranti, si riscopre nuovamente
piccolo e povero. La prestazione di ieri, di fronte al nuovo viceleader del girone Teramo, è
imbarazzate. No, di più: irritante. Perché l’analisi va approfondita
necessariamente oltre il risultato (scabroso: uno a quattro al Tursi) e dirottata sui comportamenti
della squadra (molle, frenata, appesantita, svogliata, anche a svantaggio
acquisito) e sugli atteggiamenti collettivi (rincorrere presuppone
determinazione, volontà e coraggio: e rimediare diventa praticamente
impossibile, se troppo spesso nove elementi su undici si raccolgono dietro la
linea della palla). Gli abruzzesi non aggrediscono tanto e non viaggiano
neppure su ritmi alti (ma la cortesia è ampiamente ricambiata, va detto): però
il Teramo è più compatto e solido, fa viaggiare il pallone, pratica un calcio lento ma pulito, conosce
le geometrie e il concetti di inserimento. Sbloccare lo score, prima della mezz’ora di gioco, è facile: poi, la formazione
di Vivarini si contiene e sembra non voler infierire (quel torello, a metà match, è antipatico: per il Martina, ovviamente). Il
raddoppio, comunque, arriva ugualmente. E la gente di Bocchini si ribella
troppo tardi, quando manca una manciata di minuti alla chiusura delle ostilità.
Certo, il recupero lungo accordato dal direttore di gara accorre persino in
soccorso di Leuci e compagni: ma, in realtà, finisce per offendere i sentimenti
della tifoseria di casa (arrivano, cioè, il terzo e il quarto sigillo
teramano). Gran brutta figura, in sostanza. Scolpita, più che dall’appurato deficit tecnico (che l’indisponibilità
di Petrilli aggrava), dalla scarsa reattività
- anche e soprattutto nelle situazioni di ripartenza concesse
dall’avversario - e dal debolissimo spessore caratteriale del Martina.
Tatticamente, il tecnico cambia la pedina che staziona davanti la difesa (non
più Gai, ma De Lucia, almeno per un tempo, perché poi torna tutto come prima):
al di là degli uomini, tuttavia, la squadra non sa replicare e non riesce a
guadagnare densità in mezzo al campo, né può vantare un minimo di personalità:
dissipando pure quelle coordinate pulite di un tempo. In coda al rovescio,
intanto, i numeri incombono (terz’ultimo posto) e il morale cala. Oscurando
pure la buona notizia degli ultimissimi giorni: il club, adesso, può respirare
con l’aiuto economico garantito da un nuovo socio, il bresciano Gherardini. Che
potrebbe (dovrebbe) regalare qualche rinforzo (ne servirebbero tre, quattro): a
gennaio e, magari, anche prima (occorrerebbe, perciò, sondare la lista degli
svincolati). Ma non sarà semplice operare: perché sbagliare le scelte è
vietato.
lunedì 7 ottobre 2013
Brindisi su, Taranto giù. E Maiuri rischia
Brindisi-Taranto,
all’improvviso, diventa un derby di alto valore. Per i due tecnici,
essenzialmente. Ciullo, il caudillo
adriatico, si ritrova a sgomitare tra le prime critiche mirate: la squadra,
sicuramente più carrozzata di quella della scorsa stagione, non duplica più
molte giocate di allora e non sviluppa quel calcio largo e tagliente dei suoi
giorni migliori. La manovra si è un tantino involuta e sembra difettare anche la
personalità necessaria per inseguire il risultato. E Maiuri, coach che lavora
in riva ai due Mari, è già un osservato speciale: la formazione probabilmente
più titolata del campionato, sùbito dopo il Matera, si apre troppo spesso sotto
il peso delle insidie degli avversari di turno e sembra soffrire la scarsa
predisposizione della mediana ad assicurare un filtro rassicurante. Tanto che i
risultati non arrivano (l’ultima prestazione è coincisa con la caduta casalinga
di fronte alla Turris e, prima ancora, soltanto un finale di gara grintoso
aveva garantito il pareggio a Bisceglie). Lo scontro incrociato, così, si tinge
di apprensioni. Che il Brindisi supera con la volontà e con la determinazione
che occultano certe distonie (troppi lanci lunghi, fraseggio continuo, ma
talvolta affaticato), mentre il Taranto – confuso, contratto, impaurito,
scollegato, abbastanza fermo – affonda. Vince (due a zero) la squadra più
meritevole, cioè quella meno sgranata, quella più coraggiosa. Quella che tiene
più palla, che copre meglio il campo. E che cerca il successo, sin dall’avvio.
Legittimandolo prima dell’intervallo, quando costruisce il meglio, prima di
raddoppiare (Gambino è sempre più leader
della classifica riservata agli artiglieri del torneo). Perde il collettivo che
approccia il match con troppe riserve mentali e con un impianto che assicura più
protezione alle retrovie (due mediani davanti a Miale e Pulci centrali di
difesa, dal momento che Prosperi torna sull’out
sinistro), ma non la creatività. Ma, se nella zona nevralgica Menicozzo
battaglia, il coloured Muwana osserva
e basta. Servirebbe, perciò, che uno tra le due punte Clemente e Balistreri e
il fantasista Mignogna galleggi tra le linee, per catalizzare palle e gioco: e,
invece, niente. Senza ritmi e senza idee, cioè, non si va da nessuna parte.
L’acciaccato Carloto, uno abituato a pensare, entra a gara ormai compromessa,
quindi troppo tardi. Il Brindisi, più vivo e più in partita, rischia in un paio
di occasioni, ma gestisce il doppio vantaggio senza troppe fibrillazioni.
Autoalimentandosi, probabilmente, con i correttivi tattici adottati da Ciullo (il
vecchio 4-4-2 si trasforma in 4-3-3 e, se non altro, Pellecchia se ne
avvantaggia). Resistono, tuttavia, alcune sensazioni: gli adriatici, seppur in crescita, non
sembrano ancora pronti per affrontare le insidie di un campionato proiettato
verso le primissime proiezioni (necessita una manovra più lineare, più pulita).
E questo Taranto, partito per vincere, oltre alla tranquilla permanenza – oggi –
non può ambire.
lunedì 30 settembre 2013
Martina, la prestazione c'è. E il risultato pure
La leadership
della Vigor Lamezia (dodici punti in quattro gare) non impressiona troppo il
Martina, che, al Tursi, affronta il
match con coraggio. La disposizione dello scacchiere e la manovra, come sempre,
sono rigorosamente pulite. La formazione di Bocchini, peraltro, si ritaglia
qualche occasione, che serve ad acquisire maggior sicurezza. Il miglior
quoziente tecnico individuale dell’avversario emerge a tratti, ma con fatica. E
solo con lo scorrere del tempo il raggio d’azione dei calabresi si amplia. Quando,
cioè, provano ad amministrare di più la palla e a guadagnare profondità, scalfendo
di conseguenza la visibilità di Petrilli (ex in ombra) e soci. Che, in
prossimità dell’intervallo, rifiatano. In sostanza, primo tempo decisamente
equilibrato: e diversi motivi per ritenersi soddisfatti. La ripresa, invece,
nasconde più sofferenza: la
Vigor si fa più corposa e cresce sotto il profilo della
quantità, pressando e schiacciando il Martina. Che sembra aver perso
brillantezza e fiato e che argina con maggiore difficoltà. Il Lamezia, allora,
continua a fare la gara, sprecando un paio di match point.
Il compito, però, sembra complicarsi alla mezz’ora (doppio
cartellino giallo per Zammuto): Il nuovo 4-3-1-1 disegnato dal coach
umbro,
tuttavia, si regala un paio di incursioni che certificano il processo di
crescita, sotto il profilo della personalità, di un collettivo poco
disposto a
trincerarsi, malgrado tutto. E che lasciano dettare a Bocchini, in sala
stampa,
frasi pregne di soddisfazione e orgoglio (oltre tutto, questo zero a
zero è un risultato di discreto peso specifico). Tecnicamente, in
effetti, la squadra
sta lievitando. E pure approccio e comportamenti tranquillizzano i più
esigenti
e i più delusi dal rovescio consumatosi sette giorni prima, a Caserta.
Il
Martina, sottolinea il tecnico, necessita della fiducia che aiuta a
pretendere
di più da se stessi. Può darsi che sia davvero così: di certo, comunque,
proprio la partita teoricamente più ostica della prima porzione del
torneo
promuove l’umiltà di un gruppo che non dispone di troppe certezze
assolute e
che può sostenersi soltanto sull’applicazione e sulla regolarità.
venerdì 27 settembre 2013
Il Manduria e il giovane Enoch
Il pallone è come la quotidianità di noi tutti: per
riciclarsi, o solo per continuare a pulsare, oppure – assai più semplicemente -
per galleggiare, necessita di stimoli sempre nuovi, di soluzioni estreme e, magari,
di effetti speciali. Tutti ingredienti che, lo sappiamo, si amalgamano bene allo stile di
vita due punto zero. E poi il calcio è un mondo globale. Dove l’emulazione è un
marchio depositato ormai da tempo. E così, anche nei quartieri meno nobili si
vive, sempre più spesso, tra vetrine e sindrome da glamour: ma, se il palcoscenico dei grandi attrae, qualcuno dovrà
pure rincorrerlo. E’ tutto scritto, quindi. Ecco l’ultimo caso: il Manduria si
è affezionato ad un’idea meravigliosa, quella di scrollarsi l’anonimato in cui
si è arenato da anni e di arrampicarsi verso la visibilità. Partecipa al suo
secondo campionato di Eccellenza, dopo aver seriamente rischiato di essere
lasciato fuori, per questioni puramente economiche. Gianluca Fiorentino,
imprenditore arrivato da Cavallino in piena estate, ha rilevato il titolo e,
dice, anche un po’ di debiti, cancellando al
fotofinish la paura e rilanciando il progetto. Che prevedeva il
potenziamento dell’organico (i lavori sono tuttora in corso), una
salvezza
tranquilla (teoricamente più che possibile, adesso) e la costruzione
delle fondamenta
per pianificare il ritorno in D, dove il calco manduriano ha soggiornato
a lungo, in passato. Malgrado il momento economico niente affatto
favorevole e, dettaglio da non trascurare, la sopraggiunta inagibilità
parziale
dello stadio Dimitri, ormai aperto
per pochi intimi (duecentocinquanta: pochi, per una piazza tradizionalmente
calda come quella jonica). Un vero e proprio ostacolo, quest’ultimo: che prima
ha rischiato di spedire il Manduria sul campo di Maruggio e poi di provocare il
black-out (Fiorentino aveva
formalizzato il proprio disimpegno, per poi ritrattare quarantott’ore dopo).
Scavando, comunque, un solco di freddezza tra il club e l’amministrazione
comunale. Dunque, progetto salvo. Recuperate le energie, anzi, il presidente
sembra aver consolidato il programma: continuando ad operare sul mercato, a
torneo già avviato. E disegnando successive strategie. Gli effetti speciali,
appunto. Come Enoch Barwuah, un coloured
che, presentato così, dice poco. Invece, il ragazzo è fratello di sangue di
Mario Balotelli, ovvero l’artigliere più chiacchierato del momento. Almeno in Italia. Non avrà,
Enoch, gli stessi colpi, lo stesso talento della prima punta della Nazionale: ma, a modo suo, anche lui possiede
il sacro fuoco, dentro. Che lo ho fatto transitare, senza troppi successi, nell’arco
di pochissimi mesi, attraverso diverse situazioni, un po’ ovunque (l’ultima
avventura si è consumata a Malta, nel Qormi). Non è, evidentemente, un tipo facile, il ragazzo.
E la rincorsa alla notorietà, cioè all’emulazione, probabilmente non lo aiuta
neppure. Come il Manduria, anche Enoch cerca visibilità. Che, ovviamente, il
club tarantino ancora non può garantirgli: l’Eccellenza pugliese è pur sempre
l’Eccellenza pugliese. La trattativa tra il club e il giocatore, dunque, dopo diversi
giorni di confronto, si è arenata definitivamente: notizia di oggi. Nonostante il presidente abbia deciso
di mettere a disposizione dell’attaccante ingaggio (sostanzioso, immaginiamo),
villa con piscina e auto dotata di autista. Niente male davvero. Fine della
storia. Ma il progetto del Manduria non si arresta qui. E, chissà, altre
iniziative fioriranno. Meno glamour,
speriamo. Perché l’Eccellenza, da queste parti, è un campionato vero. Dove si
veleggia con giocatori di categoria, che conoscono la realtà e le insidie del
campionato, ma anche degli ambienti in cui si misurano. Un campionato sommerso,
certo. Ma che reclama solidità, concretezza: anche estro, se serve, ma non
fumo. E neppure figurine da collezionare.
mercoledì 25 settembre 2013
Il Bari scafato e furbo sorprende
Parlando con i numeri, questo Bari sorprende,
effettivamente: undici punti (tre dei quali annullati dalla penalizzazione) in
sei prestazioni, tre successi ed una sola caduta, quarto posto virtuale (e nono
reale) in graduatoria. I giovani di Alberti e Zavettieri, dunque, procedono. E
procedono bene. Ripercorrendo i passi della formazione affidata a Torrente,
dodici mesi addietro: prima investita dalla diffidenza popolare, ma infine premiata
dalla permanenza in B, in fondo ad un campionato non sempre semplice, perché
condizionato dal grave handicap di
partenza. Traducendo: il Bari ci crede e battaglia, cresce e si fortifica. Magari,
senza celebrarsi troppo (è un consiglio) e senza adagiarsi (è un auspicio). La
certificazione di maturità, intanto, arriva nel turno infrasettimanale del
martedì, quando il sinistro liftato di Sciaudone (reattivo e concreto per tutto
il match) e il colpo di testa di Ceppitelli affondano il Palermo di Gattuso,
prontamente esautorato da patron Zamparini. Un Palermo, sia detto, più vivo di
quello che le cronache e le parole dettate in sala stampa da Budan, team
manager siciliano, descrivono: capace, cioè, di tenere palla e di gestirla (con
scarsi risultati, evidentemente). Il Bari, però, è velenoso nelle ripartenze.
E, spesso, conquista la conclusione. Potrebbe esserci pure un penalty, a
favore, nella prima porzione di gara: ma il vantaggio si concretizza poco dopo,
alla mezz’ora. La mediana rimane proprietà dei siciliani anche più avanti, ma
Romizi e soci guadagnano progressivamente intensità e autostima. La partita,
cioè, resta apertissima e vera: se l’avversario prova ancora a spingere, il
Bari replica puntuale. Sino al raddoppio, poco oltre la metà della ripresa: che
tuttavia non chiude il match, in quanto Lafferty lo riapre immediatamente. Il
due a uno, però, è difeso sino al traguardo. Così come la prima sensazione: al
di là della carta d’identità di ciascuno, questa squadra sembra già abbastanza
scafata, smaliziata e furba. Non è affatto poco.
martedì 24 settembre 2013
Lecce, si cambia
E’ difficile, adesso, salvare il soldato Moriero.
Quattro sconfitte di sèguito condannerebbero chiunque: a qualsiasi latitudine.
Figuriamoci, allora, in un ambiente come quello del Lecce, animato da troppe
buone intenzioni e accreditato da molti pronostici. Zero punti dopo un mese di
campionato è rogna seria, altro che. Ovunque. Ma soprattutto nel Salento, dove
la fibrillazione stagna da un po’ di mesi. La squadra affonda ancora in casa
propria: questa volta se ne compiace il solido Catanzaro, che passa agevolmente
(due a uno). Ovviamente, anche la prestazione è difettosa: frutto – anche, ma
non solo – dello scollamento mentale di un organico evidentemente inadatto ad
aggredire il campionato di terza serie. Della cui costruzione il tecnico, che
pagherà per tutti, non può assumersi la responsabilità. Anche se, al momento
opportuno, avrà approvato e avallato. Frettolosamente: per non perdere, chissà,
l’occasione di poter lavorare nella sua città. E’ un Lecce, questo, che sembra
non possedere attributi. E, probabilmente, sopravvalutato. Dalla tifoseria,
dagli avversari, dagli addetti ai lavori, da tutti. Costruito, asseriscono i
più maligni, con le seconde scelte che il mercato sottoponeva (altrove, certo,
un’operazione del genere funziona: ma vincere, o tentare di vincere, implica
logiche diverse). E spruzzato dall’euforia di un Miccoli nel motore: che,
magari, avrà pure contribuito a nascondere la realtà. Solo per un po’, comunque.
Cioè, dietro l’artigliere di Nardò (infortunatosi, peraltro), non esiste un
collettivo. Domenica, al di là della doppia inferiorità numerica maturata nel
corso dei novanta minuti, mancavano brillantezza, sostanza, ordine, concetti.
Ora, invece, si gira pagina. Con un nuovo responsabile tecnico: che sarà
ufficializzato in queste ore (Lerda?). Con un profilo psicologico bassissimo. E
con una sola accogliente certezza: quest’anno, in C1, non esiste il vocabolo
retrocessione. Meno male.
A metà mattinata, a post già pubblicato, la comunicazione ufficiale del club: via Moriero, dentro Lerda. Come anticipato. Un ritorno, quello del trainer piemontese. Che, se ricordiamo bene, nel corso della passata stagione, dal vertice della società era stato fortemente criticato, osteggiato, esonerato- E, prima ancora, anche delegittimato.
A metà mattinata, a post già pubblicato, la comunicazione ufficiale del club: via Moriero, dentro Lerda. Come anticipato. Un ritorno, quello del trainer piemontese. Che, se ricordiamo bene, nel corso della passata stagione, dal vertice della società era stato fortemente criticato, osteggiato, esonerato- E, prima ancora, anche delegittimato.
lunedì 23 settembre 2013
Il Brindisi e il primo esame da big
Arriva il momento in cui le big si incrociano e si confrontano.
Anche il Brindisi, in virtù di una campagna acquisti considerata importante,
pretende la sua fetta di nobiltà: segno distintivo, invece, del Matera, club
che ha speso, continua a spendere e, probabilmente, ancora spenderà (il suo
mercato è praticamente sempre aperto, come dimostrano gli ultimi due pezzi
della collezione: l’ex Campobasso Majella, già in campo ieri, e Sorrentino,
appena transitato da Monopoli dopo la leadership
nella classifica marcatori del girone appulocampano di D la stagione scorsa). Succede,
però, che in certi casi vince la prudenza. Le formazioni di Ciullo e di Cosco
(entrambi allontanati dal direttore di gara nel corso dell’intervallo) si
studiano e si rispettano e un po’, alla fine, si temono. Sembra che né il
Brindisi, né il Matera vogliano scoprirsi troppo e, quindi, rischiare. Vero è,
però, che – con lo scorrere dei minuti – la formazione lucana comincia ad
occupare il campo con regolarità e metodo. Obbligando l’avversario, di
conseguenza, a ripartire da dietro. Intendiamoci: questo Matera non abbaglia,
non asfissia. E chi attende gli effetti speciali rimane irrimediabilmente
deluso. Ma, se non altro, sembra un collettivo più solido di quello che sarebbe
persino logico attendersi, considerati i nomi ed i cognomi del roster (basti guardare la panchina,
affollata di gente come Ciano, Sy, Todino, Di Gennaro, Roselli, Letizia: roba
da C1). E, comunque, più robusto di quello vantato dodici mesi fa. Tornando al
match, gli ospiti si mantengono sempre alti, trattenendo la palla per gran
parte del tempo. Mentre la manovra di Marsili e soci, sempre schiacciata, non
si evolve mai e si allarga ancora meno. E’ un po’ stretto, il Brindisi. E si
accentra troppo. A Pellecchia manca la progressione, la profondità, lo spunto.
A Gambino mancano i palloni (l’unica occasione spendibile càpita tra i piedi di
Tedesco, nella prima frazione di gioco). Alla squadra, difettano gli artigli. In
sostanza, un punto collezionato di fronte al Matera (finisce zero a zero) è capitale prezioso, dopo
tutto. Ma, per provare a diventare grandi, serve qualcosa in più. Anche (e
soprattutto) contro le big
dichiarate. Ecco, la gente di Ciullo non offre mai la sensazione di poter
sfondare, di poter segnare. Ed è questa l’immagine che, infine, resta nella
memoria.
giovedì 19 settembre 2013
Grottaglie, la competitività è garantita
Dopo tutto, il vecchio gruppo
di comando (nessuna trattativa estiva si è sviluppata sino in fondo) e il
responsabile di mercato (Antonio Marrone, tornato ad occuparsi dell’Ars et
Labor) sembrano aver consegnato ad Alberto Bosco, trainer alla prima esperienza
di prestigio, un organico che – almeno- può giocarsi la salvezza sino alla
conclusione della stagione. Senza essere, cioè, considerato retrocesso ancor
prima di partire. Nonostante le possibilità limitate (non è cambiato niente,
infatti), il nuovo Grottaglie non è così male come i più pessimisti temevano.
Chiaro, non ci sono i big che
innervano altre formazioni del girone appulocampano di quinta serie (anche se,
in questo campionato, gente come il portiere Maraglino, ex Taranto, è un singolo di assoluto spessore). E l’obiettivo,
ovvero la salvezza, è tutto da inseguire e conquistare. E, dunque, niente
affatto scontato. Ma, nel complesso, l’elenco a disposizione del tecnico può
considerarsi qualitativamente assai più convincente di quello della stagione
appena trascorsa, per esempio. Come conferma la presenza nel roster di singoli interessati come
Gnoni, Anglani, Sanna e Faccini. Quanto basta, se non altro, a contrastare la concorrenza,
mediamente più agguerrita di dodici mesi fa (il livello si è alzato, questa è
la verità). E come confermano i numeri: la sconfitta onorevole patita
nell’esordio, di fronte all’attrezzato Brindisi, la vittoria in campo neutro
ottenuta sul San Severo e il successivo pareggio contabilizzato al D’Amuri contro una concorrente diretta
come la Puteolana
mettono assieme quattro punti. Una dote che, negli ultimi anni, il Grottaglie
aveva raggiunto solo a torneo abbondantemente avviato. Poi, questa squadra sembra
saper soffrire. E appare mentalmente già alloggiata nella logica del suo
campionato. Parliamo di una base di partenza assolutamente fondamentale.
Ovviamente, potrebbe non essere sufficiente. E riteniamo che Bosco e la squadra
lo abbiano capito sin da sùbito. Improbabile, tuttavia, che il club possa
regalarsi, a lavori in corso, qualcosa in più: il budget è quello e non si può sforare. L’Ars et Labor, dunque, dovrà
farsi bastare la bontà del lavoro, la fame della sua gioventù, l’esperienza
maturata – un po’ qui e un po’ là – da chi è appena arrivato, l’abitudine alla
lotta di quanti si sono guadagnati la conferma (Formuso, Quaranta, Pisano,
Presicci) e la lucidità del suo condottiero, molto più smaliziato di quello che
ci saremmo aspettati. E non solo davanti alla telecamere.
mercoledì 18 settembre 2013
Foggia, partenza in salita
Non è un campionato semplice, l’abbiamo detto. Questa
C2 è un magma in cui tutti
combattono tutti e dove non esistono zone franche. Si sale, oppure si
scende:
non c’è una terza via. Oltre tutto, la qualità media si è alzata: anche e
soprattutto per ospitare chi, in C1, non ha trovato ingaggio: e sono
tanti.
Eppure, la partenza del Foggia è meno convincente di quanto ci saremmo
attesi.
L’ultima prestazione, quella consumata a domicilio contro la capolista
Vigor Lamezia,
coincide con una sconfitta che sembra alimentare i primi disagi.
Risultato (netto, zero a due) a
parte, la formazione del confermato Padalino non offre le risposte
giuste a certi quesiti già abbondantemente emersi. Anche se, in fondo,
il collettivo si muove molto meglio di sette
giorni prima (brutta caduta a Teramo). In mezzo al campo si continua a
faticare
abbastanza, dietro si soffre troppo e persino davanti (Giglio non è
ancora
nelle condizioni più rassicuranti, Leonetti pure) qualcosa non quadra.
Qualcuno
sembra aver accusato il salto di categoria. E i nuovi arrivi non
decollano
ancora (anche se, per esempio, dopo un avvio di stagione incerto, Filosa
appare
ora più tonico). Un punto in tre partite, di cui due disputate allo Zaccheria, non è score di cui vantarsi. Tanto che la società continua a guardarsi
attorno (potrebbe firmare Colombaretti, che in Capitanata già conoscono). Di
fronte ai calabresi, il Foggia parte discretamente bene: ma sono gli episodi a
scolpire il match. Poi, l’ordine e l’aggressività degli avversari, contrapposto
alle imperfezioni di Agnelli e soci in entrambe le fasi spiegano molte cose. Però,
il 3-4-3 varato per l’occasione dal coach merita, evidentemente, un’altra chance. Se è vero, come è vero, che lo
stesso Padalino non ha nascosto di aver gradito alcune cose. Del resto,
continuare a modificare puntualmente il modulo potrebbe non servire. Non
adesso, almeno. In un momento in cui, cioè, il Foggia necessita di qualche
certezza. E di un passo più marcato, più sicuro.
martedì 17 settembre 2013
Il Nardò affonda, senza giocare
Scarsa liquidità,
rinnovamento societario da verificare sul campo, smobilitazione. A Nardò il
castello delle illusioni crolla vorticosamente, nello spazio di pochi giorni.
Il club ribadisce le difficoltà economiche, la squadra intuisce che il tempo
fugge: e, chi può, saluta, sfruttando gli ultimissime ore di mercato. Calabuig,
ad esempio, si accasa a Casarano, in Eccellenza. E qualcun altro trova casa
altrove. In D (al Vico), nella Premier
League di Puglia, dove capita. Manca il materiale umano, quello con cui il
Toro aveva affrontato i primi turni del campionato: senza peraltro decurtare
corposamente la penalizzazione di partenza (quattro punti): quindi, niente
match (in casa) contro il Manfredonia. Che si presenta e intasca il successo,
senza neppure sudare la maglietta. Zero a tre a tavolino, un altro punto di
penalità: ma questi sono problemi marginali. Perché è il futuro stesso della
società ad essere in pericolo. Presentarsi con la Juniores
si potrebbe, per la verità: cioè vivacchiare per garantirsi una continuità, ma
non la permanenza in quinta serie. E per costruirsi la piattaforma utile a
rifondare: l’anno prossimo, magari. Ma la gente che tifa non gradisce la
soluzione e preme per scongiurare il disonore. Se il Nardò rinuncia alla sfida
con il Manfredonia è soprattutto a causa del desiderio popolare: che, in quella
parte del Salento, conta parecchio. La tifoseria granata sceglie la forma,
ancora prima della sostanza: e certe cose fanno sempre rumore. Difficile
immaginare, adesso, una soluzione ragionevolmente comoda. Ma, al di là di
tutto, riteniamo che il titolo sportivo vada salvaguardato, a qualsiasi costo.
Frenando, se ce ne sarà bisogno, anche la stizza incontrollabile e autolesiosista
della piazza che soffre da troppi anni e che si è ritrovata – senza colpe – al
centro delle querelle sviluppatasi
attorno a troppe posizioni: quella della vecchia dirigenza, della nuova e
dell’amministrazione comunale. No, il titolo sportivo non va disprezzato,
neppure in Eccellenza. E va difeso, sino in fondo. Sempre che su di esso,
ovviamente, non incomba il peso di una massa debitoria eccessivamente alta: nei
confronti dello Stato, ad esempio. Sarebbe un’altra storia, in questo caso. Chi
sa, perciò, parli chiaramente: è il momento di farlo.
lunedì 16 settembre 2013
Un derby che non chiarisce
Non sempre quel che sembra è.
Spesso, il risultato sovverte gli equilibri che il campo sta disegnando.
Soprattutto se, nel mezzo, scivola un derby di tradizione. In cui la seconda
parte della commedia racconta una storia diversa. Consegnando un epilogo
inatteso soltanto alla metà del percorso. Tra Monopoli e Bisceglie va così: un
tempo per ciascuno. Ma i tre punti si sistemano nella classifica di Lanzillotta
e compagni. Prima imballati e vaghi, poi solleticati da un vantaggio episodico e,
infine, maturati alla distanza. Tanto da lamentare la mancata legittimazione
del vantaggio acquisito. E, per almeno sette giorni, liberati da ogni oscuro
pensiero. Certe sensazioni, tuttavia, stagnano. Riassumiamole così: da principio
il Bisceglie è più sciolto, più reattivo, più pronto. La sua manovra è più
pulita, più fluida. Vero: non sgorgano azioni di rilievo, ma la formazione di
Bitetto tiene bene il campo e si regge alto. Il Monopoli si fa schiacciare, si
impigrisce, non pulsa. Nel mezzo, non propone: anche perché difetta un
catalizzatore di gioco (Laboragine giostra da punta esterna, costringendo
Strambelli a retrocedere in mediana). Il discorso ci suggerisce, tra parentesi,
una domanda: ma, considerate le caratteristiche dei singoli, è davvero
necessario sistemarsi con un centrocampo a tre? Ripresa: proprio Strambelli,
dopo nemmeno quattro minuti, si fa trovare ai limiti dell’area, offrendo
compiutezza ad un errato disimpegno difensivo di Allegrini. Il gol, come si
dice, spacca la partita. Ne devia il flusso. E determina il destino del match.
Bloccando e confondendo il Bisceglie, che si smonta e si rapprende. E
confortando la squadra di De Luca, che adesso si fa preferire sotto il profilo
della densità e dell’intensità. Due ingredienti che permettono di gestire il
derby sino in fondo. E di mancare il raddoppio un paio di volte. Fuori dai
novanta minuti, cioè, schizzano due collettivi ancora inespressi. E ancora
acerbi per discutere la propria candidatura al traguardo pubblicizzato (frettolosamente?)
dalle rispettive società. Anzi, per dirla tutta – e limitandoci alle cose del
Monopoli – ci sembra addirittura che la pressione sviluppatasi attorno stia
innervosendo e infastidendo il gruppo. Che, probabilmente, non dispone neppure degli
argomenti più appropriati per contendere il primo posto ad altre realtà più
corazzate. Forse, sventolare sin dall’avvio della stagione le ambizioni di
promozione non è stata un’ottima idea.
venerdì 13 settembre 2013
E sull'Adriatico le voci strisciano maligne
A Brindisi, magari, la gente che tifa sperava in una squadra immediatamente redditizia, fortemente concreta. Non che i quattro punti raccolti nei primi due match (vittoria a Grottaglie e successivo pari ottenuto a domicilio, di fronte al sempre tosto Gladiator) siano poca cosa: ma, se le dichiarazioni della vigilia sono floride, è facile che la fiducia popolare si ampli velocemente. Ed è altrettanto facile, poi, che le prime difficoltà coincidano con certi spifferi maligni. Ecco perché il club, a metà settimana, è stato persino costretto a diramare un comunicato stampa: secondo il quale coach Ciullo non rischia assolutamente nulla. E che la sua panchina è, al contrario, salda: malgrado, sull’Adriatico, qualcuno si sforzi di insinuare il contrario. Del resto, chi scommette su un divorzio imminente può agevolmente nutrirsi di una verità: il Brindisi, al di là del semplice ottimismo di maniera, non dispone di un elenco di disponibili robusto. E, in caso di prevedibili infortuni e di eventuali squalifiche, non può appoggiarsi su un numero di seconde linee importanti. Un dettaglio, questo, che lascerebbe preferire la concorrenza (formazioni come il Matera e la Turris, per esempio, potrebbero schierare due formazioni distinte, entrambe attrezzate) e che, oltre tutto, potrebbe aver solleticato le preoccupazioni dell’allenatore. Diventato, nel frattempo, più esigente. Invece, fa sapere il presidente Flora, nessun caso oscuro. Ne prendiamo, come sempre, atto. Di fatto, però, un intervento ufficiale di questi contenuti finisce irrimediabilmente per confermare che un problema di fondo esiste. E’ un po’ come una richiesta di smentita: è, cioè, una notizia riferita due volte. Si configura, intanto, più o meno la stessa situazione anche poco più in là, a Monopoli. Dove la sconfitta di San Giorgio a Cremano, nuova casa del Mariano Keller, l’ex Campania, sembra aver spalancato le porte al malumore. Che traspare al di fuori e anche al di dentro della società. Sembra, quello biancoverde, un ambiente un po’ inquieto, oggi. Troppe voci si accavallano. E qualcosa schizza anche dall’interno dello spogliatoio. La posizione del trainer, De Luca, non sembra più così inattaccabile come un tempo. A due sole settimane dall’avvio del torneo, peraltro. Già martedì scorso il club ha voluto rassicurare tutti: con un altro comunicato stampa. Per il quale vale lo stesso discorso speso per il Brindisi, ovviamente. Diciamo che della nota inviata dall’ufficio stampa del Monopoli non si avvertiva assolutamente la necessità: e punto. Anche se Pettinicchio, ex Taranto e Trani, sembra già pronto ad ereditare la guida tecnica, se la prossima gara (al Veneziani, dopodomani, arriva il Bisceglie) dovesse sfuggire dai piedi di Lanzillotta e compagni.
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