giovedì 11 marzo 2010

Bitonto, la speranza passa dal suicidio altrui

Prima la pioggia (abbondante, da ventiquattr’ore), poi la nebbia (cala in prossimità del calcio d’avvio). Bitonto-Francavilla, confronto gonfio di paure diffuse, è test difficile per tutti, anche a causa delle condizioni del terreno di gioco. Che infastidisce quasi quanto l’involuzione di due formazioni affannate da un po’. Quindi tese e psicologicamente provate. Il derby infrasettimanale (e a porte chiuse, sul neutro di Martina) comincia in ritardo (di quasi tre quarti ‘dora) e decolla tardi. Il Bitonto è meno reattivo, più legnoso. Indeciso. E più pesante: strano, per una formazione di sostanza. Che, sul fango, dovrebbe invece resistere meglio. Ma la testa è, probabilmente, piena di pensieri: non ultimi, gli stipendi che ritardano. Il Francavilla, invece, è più dentro la partita, malgrado i propri limiti di coordinazione. La squadra di Pizzulli, dopo appena venticinque minuti, perde anche Armento (doppia ammonizione) e resta in dieci. La gente di Ruisi, oltre tutto, gestisce meglio (e di più) la palla e si mantiene alta. Possiede il destino del match nelle proprie mani: ma non intensifica l’offesa, non stringe, non aggredisce quanto basta. Non conclude in porta, ecco. Il suicidio (comportamentale, prima ancora che tattico) si sta compiendo. Anzi, si compie nella ripresa. Quando il Francavilla scompare e si rianima il Bitonto, finalmente più denso. Quando Palmieri fallisce l’uscita e la presa alta e Montefusco può battere a porta vacante. E’ ancora sgrammaticato, il Bitonto: ma, almeno, recupera temperamento. Buono per arrivare al novantesimo senza subire (traversa di Maraschio a parte). Il minimo che si può pretendere da una squadra nata per aggrapparsi sul carattere. Senza il quale si intristisce. E intristisce.