mercoledì 5 gennaio 2011

Porte aperte sul derby

Sta arrivando il giorno del derby di Puglia. Derby offeso dalle ansie della classifica e già sfinito dal peso delle responsabilità che si trascina dietro. Un po’ annebbiato dalle legittime paure e, psicologicamente, anche un po’ bloccato. Per il Lecce e, soprattutto, per il Bari arriva in un momento in cui un eventuale rovescio arrecherebbe danni difficilmente digeribili. Ma arriva: ed è aperto alla gente. Dopo aver ingiustamente rischiato di non esserlo: per una cattiva interpretazione di chi governa l’ordine pubblico e dell’organismo di controllo sulle manifestazioni sportive che, ormai, amministra il calcio italiano. Porte chiuse evitate, anche per merito dell’infastidito intervento dei sindaci di entrambe le città. Ma polemiche ancora calde, ravvivate dalle decisione di non partecipare ugualmente alla trasferta della tifoseria barese. Ad ogni modo, il derby di Puglia aggira lo sgarbo. Perché di sgarbo si sarebbe trattato. Anche se, in fondo, lo sgarbo rimane. Lo sgarbo di considerare Lecce-Bari un match molto più pericoloso di qualsiasi stracittadina (milanese, romana, genovese) o di altre sfide tradizionalmente più preoccupanti. Regolarmente aperte al pubblico, seppur regolate da qualche limitazione. Lo sgarbo di infierire sul pallone di province lontane, meno difendibili, meno considerate, meno rappresentate nel Palazzo. E di schiaffeggiare due club e due tifoserie meno ingombranti, mediaticamente meno esposte. Nel segno e in onore di una legge scritta male e applicata peggio.