martedì 19 maggio 2009

Taranto, tra salvezza e futuro

L’ultima trasferta del Taranto è quella che porta punti e, soprattutto, la salvezza immediata. Con Stringara in panchina, il successo esterno è una novità assoluta, ma anche un episodio decisivo. Materializzatosi proprio quando il risultato pieno è assolutamente necessario. E quando lo sparring-partner (il Sorrento) non deve chiedere nient’altro a se stesso e al torneo. Cioè, quando il calendario si dimostra compiacente. Scende, dunque, il sipario su un’altra stagione dura e travagliata. Sipario capiente: buono per occultare tensioni, litigi, contrasti, incertezze, contestazioni, ripensamenti, esoneri, dimissioni, epurazioni e malanimi insanati di nove mesi tesi e grigi. Il Taranto arriva sino in fondo e ci arriva faticosamente. Stanco e avvilito. Neppure la soddisfazione della permanenza è immacolata. Perché, a fine gara, la squadra corre a festeggiare sotto la curva e i cinquecento tifosi al sèguito rispondono con fischi e cattive parole. C’è, probabibilmente, davvero poco da festeggiare. E una salvezza risicata non è un vanto, per una tifoseria che aveva auspicato qualcosa in più, malgrado le pessime indicazioni tratte alla vigilia del campionato e un organico male assortito. Ma la contestazione che investe i protagonisti del campo punta, in realtà, un bersaglio storico, il presidente Blasi. Che, offeso, spende nuovamente frasi stizzite e ruvide. Che non occorre neanche interpretare e che addensano nuove ombre sul futuro prossimo della società. Frasi alle quali, peraltro, siamo abbondantemente abituati. Così come siamo abituati al contenzioso infinito tra la frangia più calda del tifo e il numero uno del club. Uno che si smarrisce spesso nell’umoralità del proprio pensiero e che, proprio per questo, continua a pagare un prezzo assai alto. Eppure, l’esperienza accumulata potrebbe consigliarlo, ormai. Indirizzandolo sulla strada corretta. Che non è affatto quella dell’esposizione economica obbligatoria. Se Blasi non può (o non vuole) spendere, ne ha il diritto. E ha il diritto di gestire la strategia che preferisce. Oppure di cercare nuovi compratori. Ovvero, il dovere di farsi da parte, se esiste una soluzione migliore. E, comunque, non possiede il diritto di disconoscere quello che afferma una settimana prima. Non servono, cioè, grandi promesse da sacrificare sull’altare del consenso, che si è già estinto. E non servono neppure le sciabolate che difendono il castello. Servono, piuttosto, concetti semplici e chiari. Che non si burlino della realtà e che non illudano chi è disposto a farlo. Che durino una stagione, almeno. Serve un programma, anche modesto. Ma un programma: agile, duraturo. Che non si pieghi al vento degli umori. Della piazza o del presidente. Nessuno potrà condannare Blasi, se Blasi non può. Ma Blasi non si mimetizzi nelle situazioni, non si nasconda nelle attenuanti, vere o presunte. Disegni, invece, il nuovo Taranto - qualunque esso sia - con equilibrio e managerialità. Curando i rapporti con il mondo e limando le distonie che continuano a fagocitare la società. Il gioco delle lusinghe e delle minacce è logoro, inutile. Il calcio tarantino, prima o poi, dovrà abituarsi all’idea di cambiare pagina. E l’augurio è che Blasi compia il primo passo.