martedì 3 marzo 2009

Quella frase infelice di Ruisi

Il Bitonto, lo sappiamo, è squadra di ruvida praticità. Non è un caso, allora, che oggi sia (appena) fuori dal quartiere dei playoff e che la squadra di Riusi sia riuscita, domenica, a risolvere un’altra situazione intricata. Cioè a forzare il dispositivo arretrato della Gelbison di Longo, in coda ad un match un po’ sporco, tecnicamente parlando. E a recuperare la strada del successo, al culmine di una prestazione costata sudore e fatica e, a tratti, slabbrata. Ma rispettare gli obblighi dettati dal fattore campo, di questi tempi, è essenziale: e Infantino e soci si stanno adattando (nove punti nelle ultime tre gare interne). Potendo contare, oltre tutto, su un ambiente sempre caldo. A proposito: c’è frizione tra un parte del pubblico bitontino e l’allenatore. Che non è frutto di motivazioni tattiche, questa volta. Anzi. E’ una storia un po’ antipatica di sospetti e accuse di delazione. Lo stesso Ruisi, a fine match, ha voluto puntualizzare: non è lui ad aver smascherato una frangia di tifoseria, ritenuta responsabile di recenti e poco raccomandabili comportamenti . Aggiungendo che la sua estrazione geografica (è di Palermo) gli vieterebbe moralmente di sentire e denunciare. «Non sono una spia, sono siciliano», fa sapere dai microfoni di un’antenna locale. Qualcuno, a Bitonto, adesso potrà anche ritenersi sollevato e qualcun altro, magari, non sarà ancora soddisfatto. Ma la frase, pubblicamente divulgata, è assai infelice. E scomoda, da ascoltare.