lunedì 7 settembre 2009

Fasano, lavorare sul progetto si può

Un punto per cominciare. Senza immalinconirsi più di tanto. E allontanando persino qualche paura: perché il campionato, con un organico ritenuto ancora debole, cominciava ad impaurire. Complessivamente, invece, non va così male. E, comunque, il debuto nel torneo di serie D è migliore di quanto si potesse immaginare. All’inizio, però, il Fasano si fa schiacciare dalla Casertana. E soffre, dietro: i pericoli piovono copiosi dalle corsie laterali. Ma l’avversario, in pieno possesso delle operazioni, non insiste e si sgrana velocemente. E la formazione appena affidata Geretto, che può contare in mediana su una coppia centrale di sostanza e continuità (Sanso e Tateo), sul dinamismo di Salvi e, davanti, su artigliere reattivi (Evacuo e Capochiano), punisce l’avversario allo scoccare della prima mezz’ora. Ma, soprattutto, soddisfa l’ardore con cui la squadra interpreta la gara, superando le prime difficoltà di percorso. Malgrado lo sperpero in eccesso di qualche pallone. Il problema di fondo, magari, resta la condizione fisica, approssimativa per la lacunosa preparazione estiva. E, infatti, il Fasano corre sino alla metà della ripresa, momento in cui i campani raddrizzano il risultato, pur senza troppo brillare. Risultato che Colucci e soci finiscono con l’accettare. Geretto, intanto, sa che molto lavoro l’attende. E che, comunque, il progetto si può approfondire. Proprio perché qualche indizio lo lascia credere. Sudando e sgomitando, certo. E sognando, perché no, un aiuto dalla stanza dei bottoni, appena sarà possibile. Senza parlarne eccessivamente, è chiaro: l’austerity è un comandamento sacro.

domenica 6 settembre 2009

Due presidenti e un futuro difficile

A questo punto, dovremmo pensare che gli equilibri – all’interno del Taranto – siano fortemente lesionati. A campionato appena cominciato. In coda alle parole dei vertici societari, che scaricano (anche legittimamente) ogni responsabilità attuale e futura al tecnico e a rimorchio delle frasi nervose di Braglia, che minaccia la truppa, si inseriscono le dichiarazioni di D’Addario e, quindi, quelle del direttore generale Iodice. D’Addario, presidente al cinquanta per cento, comunica il malessere e si fa ufficialmente da parte. Dopo essersi già abbondantemente defilato: dai salotti televisivi e dalla quotidianità degli eventi. Svelando la propria, differente idea di conduzione di un club. Che non è quella di Blasi, cioè l’altra metà della proprietà. Perché differenti sono i personaggi. E differente è la filosofia di gestione. Filosofia che passa attraverso gli accordi di sponsorizzazione, i rapporti con l’ambiente, le istituzioni e le altre società, la prima squadra e il settore giovanile che ancora non c’è. La specificità di ciascun carattere, dunque, avrebbe già consunto i rapporti. O, almeno, negli ultimi tempi avrebbe corroso il feeling tra i due personaggi. Negli ultimi tempi o persino prima: perché sapevamo di alcuni problemi sorti sin da Chianciano, in pieno ritiro-precampionato. «Non possono coabitare due presidenti», dice oggi D’Addario. E, modestamente, l’avevamo abbondantemente previsto su queste colonne, a patto appena siglato. Malgrado Iodice si sia spesso affrettato a respingere ogni illazione. Per poi rispondere piccato alle accuse neppure tanto velate di D’Addario. A questo punto, sì, la gente che tifa non sembra godere del diritto di attendersi settimane tranquille. Malgrado la situazione sia suscettibile di sviluppi. Legati, appunto, alla nuova posizione assunta dall’imprenditore tarantino. Uno che – ci risulta – ha investito tempo ed economie nel nuovo progetto. Un progetto che, altrimenti, non sarebbe decollato neppure. Uno che, perciò, farà fatica a rimanere appartato. E senza del quale verrebbe a crollare quel castello di garanzie faticosamente affrancato al nome del Taranto.

E, infatti, nel corso della mattinata, si sparge sulla città la novità: Blasi lascia e D'Addario rileva l'intero pacchetto di quote azionarie. Una soluzione che la tifoseria gradisce. L'unica soluzione possibile per cancellare le ruggini di troppi mesi e per riavviare il processo di consolidamento (tante volte interrotto) tra il calcio jonico e la città.

sabato 5 settembre 2009

Il regalo del nemico di sempre

Grottaglie in D. E Manduria in Eccellenza. La catena dei ripescaggi premia il rivale più antico dell’Ars et Labor. Che è causa della felicità propria e della soddisfazione del nemico di un tempo. E, forse, da oggi meno nemico di ieri. Il nemico che, fino in fondo, ha confidato nelle ragioni altrui. Tifando per la concorrenza e, contestualmente, per se stesso. Il club biancoverde recupera un po’ del terreno perso in coda al suicidio societario di tre estati fa e anche un po’ di credibilità. E, ovviamente, pure qualche sorriso: anche se la tifoseria non ha dimenticato (come potrebbe) quella brutta storia, né completamente assorbito il dolore. Rimanendo stordita per un po’. Così tanto da non perdere la passione, malgrado qualche delusione rimorchiata dopo la caduta negli inferi del pallone regionale. E, probabilmente, così tanto da gioire del regalo ottenuto dal nemico di un tempo. Senza inciampare nel minimo pudore. E senza preoccuparsi dell’imbarazzo di dover ringraziare il Grottaglie. Sicuramente il fastidio maggiore: ma tant’è, il calcio è anche questo. E, spesso, si diverte così.

venerdì 4 settembre 2009

Il Foggia e Salgado, altro giro

Il mercato è finito. E Salgado è rimasto a Foggia. Da dove avrebbe voluto salpare, neppure tanto segretamente. Sin dall’anno scorso. Al culmine delle trattative (laboriose, pare), si è imposta la consistenza dell’ingaggio. Che spaventava (e spaventa) la società dauna e che ha allontanato qualsiasi pretendente. Tutto come prima, dunque. Il cileno dovrà farsene una ragione. Magari solo sino a gennaio, chissà. Anche se la scappatoia della rescissione del contratto c’è sempre: purchè un altro club in difficoltà torni a bussare, prima o o poi. Cedendo all’urgenza. L’esperienza pugliese, tuttavia, continua. Almeno un altro po’. Esperienza sdrucciola, in realtà. E sporcata dai contrasti frequenti sorti con l’ambiente. O dagli incidenti di comunicazione. Che sembrano anche aver minato il rapporto tra l’artigliere sudamericano e il gol (dieci nella stagione passata: non pochi, considerando le precarie condizioni fisiche che l’hanno ostacolato durante il tragitto, ma neppure utili a cancellare l’ombra di certi attriti, né a liofilizzare gli effetti del suo carattere un po’ spigoloso). La verità, oltre tutto, è che Salgado è oggettivamente mancato nel momento più delicato dello scorso campionato: quello della rincorsa ai playoff prima (obiettivo raggiunto) e della serie B dopo (traguardo fallito). E anche l’approccio alla stagione in corso è sembrato sostanzialmente morbido: la gente non dimentica. Ma, a Faggia, Salgado dovrà restarci ancora. E, davanti, c’è una scommessa, quella di una squadra che sta lavorando per diventare irriverente, quella di Pecchia e Porta. Il ragazzo, allora, torni a concentrarsi sul presente. S’impegni fattivamente per la causa. E provi a rappresenatre il valore aggiunto dell’organico. Converrà anche a lui. E, comunque, non ci perderà nulla.

giovedì 3 settembre 2009

L'ora dei messaggi chiari

Le parole di Braglia colpiscono sempre. E viaggiano dritte, al cuore del problema. Senza prefiltraggio. Il tecnico del Taranto ci sta e si sta abituando (si fa per dire: il personaggio è quello, esattamente come lo ricordavamo) ad un rapporto franco. Con l’opinione pubblica e con la squadra. Franco e anche un po’ crudo. Ma gradevolmente sincero. Il coach dice quello che pensa. E lo serve senza timori. Le dichiarazioni spese sùbito dopo la caduta di Terni sono ancora più ruvide di quelle consumate a ridosso della prima fatica di campionato (quando, invece, arrivò la vittoria). Perché, oggi, c’è un problema, dentro il Taranto. Non di tenuta atletica, come sarebbe comodo pensare. Ma di mentalità: Braglia lo ammette. E lo denuncia. Lasciando trasparire uno strato spesso di nervosismo. Acuito, magari, dalle frasi della società: la squadra messagli a disposizione, fanno puntualmente sapere il presidente Blasi e il diesse Pagni, non è la più forte del girone, ma è assai competitiva. Soprattutto adesso, dal momento che si allena pure Correa, il trequartista che mancava. Dunque, da ora in poi, tocca al trainer grossetano farla funzionare. E bene, pure. Messaggi chiari: il club avverte il capitano della nave. E il capitano avverte i suoi naviganti. Non è più tempo di scherzare.

mercoledì 2 settembre 2009

E il Grottaglie attende

Il Grottaglie, oggi, dovrebbe sapere. Se davanti a sè c’è il castigo dell’Eccellenza o la redenzione della serie D, conseguenza diretta di un ripescaggio già conquistato in mezzo all’estate e poi cancellato da una rivisitazione della classifica delle formazioni aventi diritto. A tutto vantaggio dell’Elpidiense, ammessa in quinta serie. Il ricorso, inoltrato e discusso proprio ieri, è tuttavia fondato. Perché le operazioni gestite dal club marchigiano continuano a non convincere: per la modalità e per la tempistica (la documentazione è completata oltre i termini imposti dal regolamento). E un accoglimento della pratica legale, affidata alla competenza e all’esperienza dell’avvocato Chiacchio, non meraviglierebbe. Teoricamente. Il punto nodale della questione, però, è un altro. E’ sin troppo evidente che al Grottaglie servirebbe uno sponsor serio. E politicamente convincente. Cioè una garanzia: per ottenere quello che sembrava un diritto. La speranza è che il presidente Ciraci abbia trovato il canale giusto. E, soprattutto, che la giustizia sportiva applichi il buon senso. Cioè una soluzione all’italiana. Comoda, anche se tecnicamente discutibile. Traducendo, che venga deciso un ripescaggio in sovrannumero. Utile a salvaguardare le posizioni dell’Elpidiense e del Grottaglie, contemporaneamente. Certe volte, la manipolazione delle norme sono l’epilogo migliore. O il più conveniente: per tutti.

Il ricorso è accolto. E il Grottaglie è in D. La linea difensiva dell'Ars et Labor è completamente premiata. Di più: la richiesta di ripescaggio in sovrannumero è addirittura rigettata dall'Arbitrato del Coni. Il club jonico, cioè, dovrà sostituire l'Elpidiense. E non semplicemente accodarsi. Segno evidente che le ragioni della pratica legale erano saldamente fondate. Più di quanto si sospettasse.

martedì 1 settembre 2009

Primo derby, prima vittoria

Il primo derby è l’occasione migliore per impossessarsi della prima vittoria. Il Brindisi lavora la resistenza del giovane Noicattaro, lo accerchia e lo punisce. Due a zero, risultato pulito. Che trascina, olre tutto, indizi più confortanti: dal rientro in organico di Taurino al felice ingresso nei meccanismi di Panarelli (è suo, peraltro, il destro che sblocca il parziale); da un atteggiamento di squadra più consapevole e accorto alla ritrovata lucidità di Moscelli. Passando per la reattività mostrata da Galetti. E in attesa che il paulistano William Da Silva, artigliere di manovra appena prelevato dal Taranto, si inserisca nell’ingranaggio. Nell’evoluzione del Brindisi, però, pare inserirsi anche la questione tattica. Sul campo, rivela coach Silva, i protagonisti e i loro movimenti l’hanno obbligato a modificare il modulo di partenza: tanto che il 4-3-1 2, oggi, sembra offrire più garanzie del 3-4-3 dik partenza. Nessuna bocciatura, però. Neanche per il tecnico pavese: l’inversione di rotta, del resto, non è un sintomo di debolezza, come qualcuno potrebbe essere orientato a pensare. Ma un segnale di praticità. E di intelligenza.

lunedì 31 agosto 2009

Monopoli, temperamento e reazione

Va detto: saper rintuzzare e reagire è un pregio del Monopoli appena affacciatosi sul campionato. Due volte sotto, la formazione di Pellegrini raggiunge puntualmente la più organizzata (o, più semplicemente, la meglio confezionata) Juve Stabia. Anzi: nel momento migliore, a ripresa appena abbozzata, il diagonale firmato da Lisi regala il sigillo del tre a due. Quello definitivo. La rabbia e il carattere riescono così a limitare i danni delle deficienze difensive e dell’atteggiamento timido e impacciato di Corno, guardasigilli diciannovenne che non infonde sicurezza e che sembra aprire la strada ai partenopei. Il primo impegno interno di Balistreri e soci è una corsa ad handicap, una salita che si appiana con la grinta e con la migliore tenuta atletica, elemento fondamentale del calcio giocato (incomprensibilmente, ma è un altro discorso) d’estate. E punto di partenza interessante in un torneo appena nato e, dunque, ancora sufficientemente indecifrabile. Come il domani del Monopoli, squadra dal discreto quoziente tecnico e dal temperamento che conquista. La gente e i punti.

domenica 30 agosto 2009

Bari, un passo indietro

Non ci sbagliavamo: il primo test di campionato, consumato di fronte all’Inter di Zé Mourinho, non avrebbe potuto vantare spessore assoluto. Né riassumere troppi dati indicativi. Sei giorni dopo l’esordio, infatti, il Bari si blocca (senza troppo piacere) davanti ad un avversario molto meno quotato come il Bologna, organico di pari rango e medesime ambizioni. E a poco serve lamentarsi delle condizioni delle zolle d’erba del San Nicola, così come dell’enorme imprecisione di Kutuzov nei paraggi della porta ormai indifendibile degli emiliani. Evidente, allora, che ancora qualcosa va registrato (di questi tempi, si dice sempre così) e che più di qualcosa va tuttora reperito in sede di campagna di rafforzamento (a proposito: sta per esaurirsi). Campagna di rafforzamento che dovrà tecnicamente coordinare la vecchia gestione, quella di Vincenzo Matarrese, presidente di fatto sino ad ottobre. Sempre che l’accordo recentemente raggiunto con Tim Barton, nuovo proprietario del club, non salti, più o meno improvvisamente. Troppe voci, del resto, continuano ad accavallarsi, un po’ minacciose. E troppi malumori continuano ad insinuarsi nell’opinione pubblica. Tanto da lasciar sospettare che i termini del passaggio societario non siano poi così trasparenti e saldi, ma – piuttosto – ancora gravidi di diversi angoli da smussare. O che, magari, qualche protagonista riparato dietro le quinte si sia esposto eccessivamente, prima della firma dell’accordo preliminare. Pentendosene, appena più tardi. Fatti, questi, che certamente non solleveranno il tecnico Ventura. E sicuramente, anche il diesse Perinetti. Del quale va compreso l’imbarazzo. Che poi potrebbe essere, alla distanza, anche l’mbarazzo di Matarrese. Il Bari di ieri, intanto, è una squadra in cerca di certezze. E ottobre è ancora lontano.

sabato 29 agosto 2009

Francavilla, tra Coppa e scetticismo

E domani riparte anche il Francavilla. Con sette giorni di ritardo, imposti dalla nuova calendarizzazione. L’impegno è di Coppa Italia, certo, ma anche particolarmente stuzzicante. In Puglia scende il nuovo Avellino, affidato alle cure di D’Arrigo, recente nocchiero del Manfredonia. L’Avellino: con la sua storia, i suoi sentimenti traditi e un entusiasmo da ritrovare. E’ nuovo, però, anche l’organico della formazione delegata alle competenze di Gigi De Rosa, tecnico che, contemporaneamente, accetta la retrocessione personale (sino a maggio allenava il Monopoli, nella categoria immediatamente superiore) e un programma di contenimento (dei costi di gestione). Particolarità non proprio diffusa, per un coach che vanta un solido pedigrée e gode di stima mediatica. Complimenti, allora. E auguri. Sinceri. Perché il compito che l’attende appare sin da ora ostico. E non solo per il ridimensionamento societario voluto da patron Distante. Ma, soprattutto, per l’elenco dei disponibili sin qui allestito. Ricco di ottime intenzioni, ma povero di gente abituata alla categoria. Il Francavilla di oggi si fonda su tanta gente affamata, ma che arriva dall’Eccellenza: un rischio. E qualcuno (probabilmente ancora utile) della vecchia gestione si è defilato. Vista così, diciamolo pure, la squadra appare indebolita. De Rosa e la sua gente, perciò, dovranno abbattere pure lo scetticismo. Degli osservatori e della tifoseria. Distante, intanto, è convinto della bontà del programma. E, nel peggiore dei casi, c’è sempre il tempo per ravvedersi: il presidente è abituato a rivedere in corsa le scelte di inizio stagione. E immaginiamo che non si tirerà indietro, se lo riterrà opportuno.

venerdì 28 agosto 2009

Brindisi, tre gol e disappunto

Tre gol e un solo punto. Il disappunto di Massimo Silva è tutto qui. Il Brindisi apre il campionato a Melfi e finisce con il rammaricarsi del risultato. E delle pieghe di una partita che si trova a condurre e poi a salvare. Anzi, che sembra mettersi male: prima che intervenga l’entusiasmo sfacciato di Diego Albadoro, ragazzo che arriva dalla serie D, ma già stimato e corteggiato. Il tecnico, magari, prevedeva meno problemi dietro, in fase di presidio. Considerando, soprattutto, la qualità diffusa degli effettivi del pacchetto di difesa: probabilmente, tra i più attrezzati in assoluto, nel girone. E anche l’ambiente tutto, probabilmente, attendeva qualcosa in più. In considerazione delle parole spese dagli addetti ai lavori sulla squadra in estate. Cioè, dei molti apprezzamenti catturati in sede di pronostico. E in virtù di quell’abitudine a vincere assorbita nella stagione precedente. Ma il Brindisi, in C2, non ci sembra un organico che può imporre la sua dittatura. E sarà bene impossessarsi di questo concetto, per non cadere nel fosso degli equivoci. Anche se l’euforia, a promozione appena guadagnata, ha invogliato la dirigenza a pubblicizzare nuovi appetiti. La formazione di Silva, piuttosto, può fare bene. Ovvero, molto meglio di quanto offerto nella trasferta lucana. Sempre che si affretti a registrare qualcosa, negli ingranaggi: come lo stesso coach ha assicurato. E sempre che la pressione della piazza non intasi il flusso delle idee. Lasciando i riflettori ad altre forze del torneo. E nutrendosi delle certezze della propria realtà.

giovedì 27 agosto 2009

Foggia, vietato sperare

Vietato sperare, neanche per un po’. Non è il momento. E non esistono le condizioni. Anche se il Foggia comincia bene il suo percorso, cogliendo un pareggio interessantissimo sul campo del Verona, formazione tra le più accreditate del girone orientale di terza serie. Pareggio che sa di discreta applicazione in fase di non possesso, più che sufficiente per equilibrare le esitazioni incrociate nelle operazioni di offesa, peraltro equamente divise con l’avversario. No, il futuro prossimo è di difficile interpretazione, di ostica lettura. Perché il Foggia, è chiaro, perderà altri pezzi: Germinale sta per accasarsi altrove e, con lui (finalmente, aggiunge qualcuno), anche il cileno Salgado, non proprio convincente neppure in quest’avvio di stagione. Intanto, Porta e Pecchia (o Pecchia e Porta, come preferite) proseguono il viaggio, senza preoccuparsene troppo, convinti della qualità del progetto abbozzato. E consapevoli: quello che arriverà sgorgherà dalla fatica e dal sudore. E da un organico che si sta modellando. Faticosamente modellando. Però, il club sta badando (deve badare) soprattutto a vendere. Oppure, prima a vendere. E poi a rifinire la lista dei disponibili. Stringere i denti, si deve: ma era scritto. Sperare è vietato. E il presente è duro e crudo. Anche se l'approccio al campionato è felice.

mercoledì 26 agosto 2009

Braglia e l'onestà intellettuale

L’onestà intellettuale si scontra con le parole della convenienza. Ma non rischia di confondersi con la superficialità o, peggio, con la supponenza. Piero Braglia è un tecnico al di là delle consuetudini. E parla come pensa. Dunque, è intellettualmente onesto. Vede un Taranto a metà e lo dice. Brutalmente. Si accontenta abbastanza del primo tempo e si dissocia dalla ripresa. Di fronte al Real Marcianise, dice, la vittoria è sporcata dalla cattiva interpretazione della situazione di vantaggio. La squadra, cioè, si compiace e non si sacrifica quanto dovrebbe. Non insiste e galleggia sull’uno a zero sin lì raccolto. Anche perchè, magari, difetta di qualità nel mezzo. Inammissibile, comunque, per il coach toscano: che, evidentemente, ama lavorare molto sotto dal punto di vista psicologico. Remare controcorrente quando il responso è felice, può persino confortare il lavoro quotidiano: mantenere il profilo basso e pungolare costantemente la truppa è un metodo. Senza dimenticare che raccontare la verità torna sempre utile. E ascoltarla aiuta a capire.

martedì 25 agosto 2009

Noicattaro, un punto perso

Sembra tutto scritto. Il match d'esordio sta scolpendo un pareggio che tiene conto di tutto: del caldo, delle asperità della preparazione precampionato, delle difficoltà di inizio percorso, dei cali di tensione e di una vera occasione per parte. Di una condizione fisica da migliorare e di novanta minuti solcati da pause e bagliori, su entrambi i fronti. Il punto, anzi, non corrode le ambizioni di nessuno e lascia vivere il Noicattaro e il Siracusa. E tutti sembrano appagati. Ma c’è il tempo per l’ultimo sussulto. Ci sono gli ultimi secondi, utili per costruire l’azione che cambia il senso della partita e il risultato. Benedetto Lorusso vede Capocchiano puntare la porta e lo sgambetta: penalty ineccepibile. La sconfitta si materializza a recupero inoltrato e schiaffeggia la squadra di Carella, talvolta istintiva, altre volte più costruttiva (tende a verticalizzare, cercando l’esperienza e il carisma di Giampaolo), in certi frangenti sfilacciata, in altri agonisticamente intensa, spesso intrappolata nel fuorigioco organizzato dal pacchetto di presidio ospite e, infine, stanca. Niente di strano, peraltro: i difetti di continuità, parte integrante del calcio d’agosto, si percepiscono netti. Ma, al di là del 4-3-3 di partenza o del 4-4-1-1 utilizzato a secondo tempo già avviato, il Noicattaro piange il punto che avrebbe dovuto guadagnare e il Siracusa se ne ritrova due in più. Il calcolo è semplice. Malgrado non possa nascondere la verità di fondo: le speranze nojane passano dalla condizione che dovrà arrivare, ma pure dalle energie nuove che gli ultimi giorni della campagna di rafforzamento vorranno regalare. Carella sottoscriverebbe per tre rinforzi, uno per reparto. Concordiamo: non guasterebbero.

lunedì 24 agosto 2009

Bari, partenza speciale. E niente di più

E adesso diranno (bene) del Bari. Del pareggio pregiato di San Siro, casa dell’Inter, delle virtù del contropiede della formazione allestita da Ventura e della sua prestazione densa e intrisa di applicazione. Il tecnico adriatico, intanto, precisa con orgoglio: di fronte alla qualità della superpotenza d’Italia, spiccano le idee del collettivo. Rivendicando, evidentemente, la bontà del proprio lavoro. Mourinho, anzi, deve modificare per tre volte il modulo: accrescendo il valore della prova offerta da Kutuzov (in gol) e soci. E rivalutando le prime impressioni spese su una squadra, il Bari, che punta ad essere, prima ancora di apparire. E che, soprattutto, non sembrava soddisfare le esigenze della tifoseria. Ma il futuro non può essere completamente azzurro: bloccare l’Inter non significa poter resistere a chiunque, da qui in poi. La gente di Ventura, piuttosto, saprà che guadagnare stima e consensi contro i primi della classe, agli albori del campionato, è meno impensabile di quanto si possa credere. E che la salvezza si costruisce disciplinandosi nel tempo, aggredendo la concorrenza meno nobile, cioè le avversarie dirette. Calma, dunque. Volare, con solo novanta minuti nelle gambe, è vietato. Il tecnico genovese, persona di esperienza e buon senso, saprà ovviamente raffreddare gli ardori ritrovati. L’ambiente si accodi: non è successo nulla. Il Bari è partito felicemente: niente di più, niente di meno.

domenica 23 agosto 2009

Baclet spinge il Lecce

A De Canio è piaciuta la praticità del Lecce. Al presidente Semeraro, invece, l’applicazione. E alla gente che tifa il risultato. Tre a zero all’Ancona è un bel modo di cominciare il torneo. Ed è un messaggio forte. I dubbi non sono immediatamente accantonati. E alcuni interrogativi non sono definitivamente cancellati. E poi va soppesata la reale capacità di reazione dell’Ancona, avversario ancora imballato e zoppicante. Ma, se la prima di campionato doveva aiutare a pensare positivo, l’obiettivo principale è raggiunto. La notizia migliore, tuttavia, arriva dal reparto avanzato: Baclet (due sigilli) sembra già maturo a raccogliere l’eredità di Tiribocchi o di Castillo. Ovviamente, è necessaria una conferma del campo: però il ragazzo è già motivato, fresco, reattivo. E anche Lepore risponde bene, chiudendo il tabellino. Eppure, il problema-Cacia rimane e, se non si evolve, occorre tornare sul mercato. La punta calabrese, anzi, si sistema in tribuna, dopo aver fatto credere di doversi accomodare in panchina. Qualche sospetto, allora, emerge: ma il coach assicura che va tutto bene e che l’esclusione è il risultato di un’insufficiente condizione fisica. Ci crediamo. Comunque, è il momento di chiarire – per sempre - la vicenda. Per salvaguardare, innanzi tutto, la tranquillità del gruppo. Per non vanificare il buon umore dettato dall’esordio. Per non sperperare l’ultima settimana di apertura della campagna di rafforzamento. E per capire se il Lecce può davvero osare.

sabato 22 agosto 2009

Gallipoli, buona la prima

Prima di giocare, il Gallipoli chiedeva a se stesso di resistere soltanto. Di limitare i danni, di scongiurare l’onta della pessima figura. E, invece, la formazione plasmata in fretta da Giannini, nel debutto di Ascoli, fa molto di più. Sorprende l’avversario e passa a condurre lo score, custodendolo anche per una fetta della seconda parte di gara. Quando, cioè, calano le ombre della stanchezza e le controindicazioni di una preparazione obbligatoriamente sommaria. Il collettivo, appena allestito dalla nuova proprietà, si batte con coraggio, fieramente. E fa proprio lo spirito con il quale va interpretato il torneo di seconda serie: la partenza, al di là del punto guadagnato (e insperato) è assolutamente confortante, beneaugurante. E farà bene al patrimonio psicologico del Gallipoli. Purchè non abbagli: l’elenco dei disponibili necessita di qualche innesto ancora, numericamente e qualitativamente parlando. E l’approccio felice al campionato non deve distorcere la realtà.

venerdì 21 agosto 2009

Il Lecce, il pronostico e il campo

Ritrovarsi in B è antipatico, ma bisogna pure abituarsi all’idea. E concentrarsi sul campionato che riapre già questa sera. Il Lecce inaugura il calendario in casa e s’imbatte nelle prospettive dell’Ancona, avversario sufficientemente morbido e sufficientemente fastidioso, come tutte le espressioni della categoria. Coach De Canio attende gli esiti di un debutto che si vanta di diventare indicativo: perché il Lecce, oggi, sembra un organico ancora incompleto. Davanti, soprattutto: dove Cacia è un corpo estraneo. Dentro e fuori dal campo. E dove la squadra dovrà necesariamente edificare le proprie fortune, se vuole davvero puntare alla riammissione alla serie A. Incompleto e, anzi, non del tutto convincente. Senza voler scomodare le difficoltà incrociate in sede di preparazione: un dettaglio che va preso per quello che è. Malgrado i padroni di tutti i pronostici si scomodino puntualmenete per offrire al Lecce – così come al Torino – i propri pensieri. Un motivo in più per diffidare. E per rimediare, se è il caso.

mercoledì 19 agosto 2009

La svolta epocale del Bari

E’ tutto a posto. Questa volta, il travaso societario è realtà. Sancito da un atto notarile. E chiude un’epoca. Trentadue anni dopo l’insediamento, la famiglia Matarrese abdica. Il Bari è nelle mani di un texano di portafoglio consolidato e ambizioni, Tim Barton. Cioè, il primo straniero a pilotare un club del campionato più importante d’Italia. Come dire: Puglia, palestra del futuro. Ma la notizia dietro la notizia è quella: la dinastia si fa da parte. Trentadue anni, poi, sono una vita. Infarcita di belle testimonianze calcistiche (gli anni della A, le promozioni nel torneo maggiore) e di anfratti ombrosi (la caduta in C, la dimessa partecipazione ad alcuni campionati di seconda serie, la lunga saga dei malintesi tra il vertice del club e la gente che tifa). Incidenti di percorso parzialmente appianati soltanto dalla recente e prestigiosa stagione, quella del ritorno tra i grandi del pallone nazionale. Dopo il quale – e solo dopo – Vincenzo Matarrese, il presidente degli ultimi venticinque anni, ha deciso di salutare. Non prima di aver restituito alla società la dignità di un tempo. Di aver riparato una situazione scomoda, anacronistica. Mal digerita dalla piazza. E, ne siamo sicuri, anche dallo stesso numero uno del Bari. Malgrado le apparenze e le accuse prolungatesi negli anni. Durante i quali Matarrese ha dovuto gestire le difficoltà legate alla quotidianità della propria professione (probabilmente, l’ostacolo più alto sulla strada della redenzione) e quelle – più mediatiche – della squadra e della società. Ecco, Matarrese lascia. E lo fa senza troppa convinzione, probabilmente. Senza allegria, sicuramente. Lascia nel momento in cui il Bari sta per riappropriarsi del suo alveo naturale, la serie A. Della sua storia. Lascia, sotto la pressione (vigorosa, si sussurra) della propria famiglia. E sotto quella di una proposta irrinunciabile: venticinque milioni di euro. Ma, soprattutto, si eclissi a tragitto di riconquista della serie A ormai concluso. Adesso, che l’impegno morale è finalmente saldato.

martedì 18 agosto 2009

Barton, al momento giusto

Tutti, a Bari, attendevano Tim Barton, il magnate texano che si è innamorato del calcio in riva all'Adriatico. E Tim Barton, ieri, è arrivato. La trattativa è prossima alla sua definizione: il club sta per cambiare padrone, dopo trentadue anni targati Matarrese. Ma tutti, a Bari, attendevano anche una squadra più reattiva. In Coppa Italia gocciola la prima delusione: passa l'Empoli. No, sul campo i problemi non mancano. E coach Ventura ne è consapevole. Il tecnico, neanche troppo segretamente, insegue con ansia i dettagli del travaso societario e, dunque, i nuovi e auspicati investimenti. Traducendo, i rinforzi. La competizione tricolore conta poco e, spesso, tradisce: ma questo collettivo, come sospettavamo, difetta di esperienza e qualità tecnica. Quindi, di personalità. Che, in campionato (è imminente, ormai), serviranno parecchio. Le motivazioni, del resto, possono occultare qualcosa, ma non più di tanto. E neppure troppo a lungo. Il suo nocchiero lo sa da un po'. Ma, adesso, se ne è accorta anche la gente. E Tim Barton, se - come sembra - arriverà, lo farà nel momento giusto: il mercato è ancora aperto.

mercoledì 12 agosto 2009

Gallipoli, si ricomincia

Dunque, è fatta. Il Gallipoli trova nuovi proprietari. Gente che arriva dal Friuli, sollevando dagli assilli la piazza salentina, che in Salento non ha trovato il carburante della continuità gestionale. Era anche ora: con il campionato che sta bussando alle porte di una squadra che ancora non c’è. Fatto assolutamente al di fuori della logica, in un contesto come la serie B. Dentro forze fresche. E fuori Vincenzo Barba, l’inventore del progetto: un progetto cominciato in Eccellenza e terminato tra i professionisti. In pochissimi anni. Fuori il protagonista principale del tragitto calcistico italiano più effervescente degli ultimi anni: al quale va ascritta la difettosa tempistica nel processo di rinnovamento societario. Trascinatosi sin dove non avrebbe dovuto. E a cui, però, vanno tributati applausi corposi e sinceri per quanto costruito. Barba, invece, si congeda tra gli insulti, irriverenti e scroscianti. E si congeda stizzito, offeso: legittimamente. Chiude un ciclo senza averlo davvero voluto. E in un modo che non avrebbe neppure lontanamente ipotizzato. Al di là della sostanza (il passaggio di consegne), dispiace la forma che l’ha scortata: Barba non l’avrebbe meritata. Non la merita. E, a normalità recuperata, non guasterebbe un passo indietro. Chi ha contestato oltrevarcando il limite, si scusi. E’ un atto dovuto.

lunedì 10 agosto 2009

Taranto, c'è sempre un motivo

A Taranto c’è sempre un motivo per discutere, per rabbuiarsi. Per sconvolgere l’equilibrio faticosamente ritrovato. Per tormentare la normalità strappata faticosamente dalla quotidianità degli eventi. E c’è sempre un motivo per strappare le ricuciture. Con D’Addario al fianco di Blasi era tornato l’entusiasmo: carburato dalle buone intenzioni e da una campagna di rafforzamento unanimemente considerata di spessore. Spirava aria buona, diciamo pure così: quell’aria buona che spazza le nubi di troppi mesi vissuti sul fronte di guerra. Alta pressione temporanea, però: è bastato il varo della pratica legata alla questione abbonamenti, per corrodere il rapporto tra il nuovo co-presidente e la tifoseria. Prezzi alti: questo è il problema. Un problema meramente economico: che non vuole disconoscere, giurano gli affezionati della curva e della gradinata, i sacrifici operati per irrobustire l’organico. Un problema fondamentale, in una città come Taranto: dove si fatica a governare il portafoglio. Più che in altri angoli del Paese. Un problema di numeri: che la gente ha sottolineato. Giustamente. Pochi abbonamenti ad un prezzo rilevante valgono quanto (oppure meno) di molti abbonamenti a costi più contenuti. Soprattutto se va rinsaldato definitivamente il rapporto tra il club e la tifoseria. Un’occasione persa: è l’accusa più gettonata. Per fidelizzare la passione. Che, a queste latitudini, non manca. Un’occasione persa: per accelerare il processo di compattamento. Strano che D’Addario non abbia intuito il pericolo. Ma sembra che l’imprenditore abbia saputo anche ravvedersi. Rivedere la decisione. Gli importi, si dice, verranno limati: attenderemo e, eventualmente, vedremo. Il sentimento di fiducia popolare, tuttavia, si è già incrinato. A torneo neppure avviato. E non sappiamo se la rivisitazione della strategia basterà a riavvicinare affettivamente i protagonisti del nuovo capitolo della storia calcistica in riva a Mar Piccolo. Anche perché, prima o poi, qualcos’altro accadrà. Garantito. A Taranto c’è sempre un motivo valido per dividere. E per battagliare. Basta saper aspettare. Le occasioni non mancheranno.

domenica 9 agosto 2009

L'ultima vittoria di Matarrese

C’era un tempo in cui Vincenzo Matarrese era il nemico. Il nemico del calcio barese e della tifoseria. Il nemico ed il colpevole: delle recessione del pallone in riva all’Adriatico, del ridimensionamento progressivo dei programmi. Il presidente da combattere. E da confinare. Erano tempi in cui la gente disertava lo stadio: perché il Bari zoppicava. Ma anche per non compiacere il numero uno del club. E quei pochi che si siedevano sulle gradinate contestavano. Pesantemente, rumorosamente. Erano tempi in cui la gente issava striscioni pochi amichevoli. Che invitavano Matarrese a lasciare. Poi, ad un tratto, il Bari riassapora il gusto del successo. E riguadagna il palcoscenico più ambito. Più o meno sorprendentemente. E qualche scoria viene cancellata dal tempo e dalla serie A. Certo, il solco tra la torcida e il vertice è ancora lì, a dividere: ma è meno profondo. Intanto, però, il Bari incomincia a ingolosire: un gruppo di texani, che vogliono acquistarlo. E Vincenzo Matarrese si fa tentare: spinto dalla propria famiglia. E, forse, anche da quelle critiche mal sopportate, da quelle battaglie con il tifo che l’hanno ammaccato. Eppure, adesso che la trattativa sembra vicina alla sua definizione, molti avvertono un senso di timore. Il timore dell’incertezza. L’incertezza del domani. I texani, dicono, possiedono un portafogli, ma non un cuore. E neanche una storia calcistica a sorreggerli. E’l’incertezza che si sovrappone alla certezza della tradizione. La tradizione di trentadue anni di pallone: quelli della famiglia Matarrese. Si dice anche che qualcuno abbia chiesto al presidente di ripensarci. Di non vendere. Forse, però, è troppo tardi. E i meglio informati giurano che il passaggio di consegne avverrà molto presto. C’era un tempo difficile. E, ora, sembra proprio il tempo del rinnovamento. Matarrese sta abdicando. E questa è la sua ultima vittoria.

venerdì 7 agosto 2009

Concertazione e comunicati: Gallipoli, è caos

Alla fine della storia che non ha fine, scopriamo che la famiglia Pagliuso non ha così tanta fame di Gallipoli o che il Gallipoli, per il gruppo calabrese, è eccessivamente oneroso. E scopriamo che, di scorta, ci sono altri eventuali compratori. Non abbasta convinti. O non troppo convincenti. Barba, intanto, in pieno agosto continua a cercare chi lo sostituisca. Anzi, meglio, chi lo affianchi: perché l’imprenditore, intimamente, non vorrebbe troppo allontanarsi dall’universo del pallone. Che regala tante soddisfazioni, a chi le sa apprezzare. E chi possiede spalle economicamente larghe. Continua a cercare: dopo aver dribblato le insistenze della Meneam e aver incassato il dietrofront del manager cosentino, che avrebbe dovuto rivestire l’incarico di nuovo direttore generale. Dalla Svizzera alla terra dei bruzi, poi sino a Trieste, sede operativa di un’altra ipotetica cordata: è lunga la strada della speranza. Ed è grande la confusione dei sentimenti dell’ambiente gallipolino. Condita da comunicati stampa velenosi. Sembra che la questione infinita della gestione del club jonico stia per definirsi da un momento all’altro, ma il momento non arriva mai. Sembra che stia per piovere qualche novità definitiva, ma non piove mai. Il rapporto tra l’ambiente e il presidente, però, si è ormai lacerato. Da non credere, neppure due mesi fa: ma è tutto vero. Forse, prima o poi, verrà costruita una squadra: magari per l’inizio del torneo di serie B. E se fosse proprio Barba a rifondarla? Da solo, cioè? Non è un’ipotesi da scartare. Anzi: è quella più accreditabile, dopo tutto. Se ne sarà convinto il presidente stesso, chissà. E’ questa, del resto, la strada più facilmente praticabile: e non da ora. E crediamo che, alla conclusione, ci stia ormai arrivando anche il petroliere. Che sta aspettando gli sviluppi dell’ultima concertazione, se mai ci saranno. E, magari, anche gli esiti della provocazione della tifoseria, disposta a rilevare la società. Un'idea senza troppe possibilità di fiorire, però. Poi, nel peggiore (e nel più probabile) dei casi, Barba dovrà guadagnare un po' del tempo sperperato e cominciare ad operare. Da solo.

lunedì 3 agosto 2009

Gallipoli, si parte. Finalmente

Viaggiare assieme, avrà pensato Barba, è più facile. E viaggiare assieme a chi, di calcio, ha già vissuto lo sarà molto di più. Il presidente non lascia il Gallipoli e neppure raddoppia. Ma, più semplicemente, decide di dividersi il compito e le spese con la famiglia Pagliuso, accorsa da Cosenza. Ma – ed è la cosa più importante – il calcio, da queste parti, non smobilita. E il club, a questo punto, si ricostruisce un futuro. Disegnandosi anche un presente. Anzi, regalandosi un po’ di normalità. La normalità che, lentamente, condurrà al campionato che sta per cominciare. Per il quale servono un allenatore (dovrebbe essere Giannini) e una squadra: da reinventare. E senza perdere troppo tempo. Correndo il rischio dello strozzinaggio da ultimi giorni: il mercato è terribile, per chi parte in ritardo. Niente svizzeri, allora. La cordata Meleam si eclissa definitivamente. Ma, soprattutto, il malcontento di Barba si acquieta. La soluzione è la migliore possibile, tutto sommato. Anche perché il petroliere assume nell’infinita vicenda il ruolo del vincitore. Che, ostinatamente, ha cercato e, infine, trovato. Riuscendo ad esaudire il proprio desiderio: continuare a fare calcio senza il pericolo di scottature inenarrabili. Ma il Gallipoli, intanto, ha rischiato: parecchio. E non è detto che tutto si appiani facilmente. Perché il ritardo accumulato è grave, al di là delle previsioni ottimistiche pubblicizzate dai protagonisti della storia. Intanto, però, l’ottimismo va considerato un buon segnale. L’ottimismo che dovrà essere nuovamente iniettato all’ambiente, un po’ lacerato dagli sviluppi di un’estate fuori dagli schemi. O dalle abitudini. L’ottimismo che, magari, riaffiorerà presto: con il lavoro. E, innanzi tutto, con i risultati. Sperando, appunto, che il Gallipoli non si trovi a rimpiangere due mesi di stagnazione. Il momento è delicato: e da questi giorni passa il campionato che verrà.