mercoledì 25 giugno 2008

Blasi, tra cuore e affari

Esistono due alternative di conduzione di un club. Due filosofie di gestione. E due categorie di presidenti. Entrambe degne. Da una parte, uomini passionali sono tifosi più o meno dichiarati: anche se il contingente, anno dopo anno, si riduce numericamente. E drasticamente. Il secondo schieramento è animato da manager consumati: fedeli al concetto di azienda, sempre più strettamente avvinghiato alle cose del pallone. Luigi Blasi si presentò a Taranto agitando molto populismo, tradizionalmente gradito alla tifoseria, e divulgando pensieri calorosi. Affrettandosi, immediatamente dopo, a pubblicizzare il suo modello di calcio, dove marketing e convenienze economiche beneficiano della precedenza assoluta. Un modello a cui, nei fatti, l'imprenditore manduriano si è sempre rapportato, ispirato. Forse, anche per questo, Blasi non ha mai assorbito la fiducia totale della piazza. Al di là dei risultati conseguiti: che nessuno può permettersi di cancellare. Troppe volte, poi, Blasi ha veleggiato mediaticamente (e maliziosamente?) tra gli istinti del capopopolo vittima di un sistema e quelli del manger un po' freddo e distaccato. Inseguendo la convenienza. E questo, probabilmente, ha acuito una certa distanza tra il presidente e i suoi detrattori, cioè una larga fetta della città. Prima degli ultimi playoff, ad esempio, il maggior azionista del club di via Umbria era un sostenitore bollente e appassionato, un caudillo dei sentimenti e della tarantinità. Come un anno prima: ai tempi di altri playoff. E, sùbito dopo, a promozione sfumata, un patron distaccato. Giustamente, ma anche esageratamente preoccupato della vicenda-"Iacovone". E di uno stadio, trasformatosi in pretesto, il cui pieno recupero non può e non deve oltrevarcare i diritti (e i reali bisogni) dei cittadini di una municipalità straziata dalle recenti esperienze politiche. Blasi, cioè, ha nuovamente tradito il personaggio confezionato artificiosamente nei giorni felici. Svelando il suo dna, il suo vero volto. Nessuna eresia, ci mancherebbe. E nessun reato, sia chiaro. Certe scelte ci stanno. Ma, per la gente, si è trattato di un peccato di cui tener conto. Ora, Blasi sta cedendo una delle sue aziende, il Taranto, a Graniglia, tarantino residente a Roma. Preparandosi ad eclissarsi dalla storia calcistica cittadina. Forse, anche brutalmente. Sicuramente, in maniera fredda. Nel rispetto, appunto, del personaggio. Quello vero. Anche per questo, probabilmente, la gente che abita tra i due Mari se ne farà velocemente una ragione. Senza troppo rimpiangerlo, magari. Malgrado il calcio jonico debba necesseriamente riconoscergli qualcosa. In attesa del nuovo (Graniglia, dicevamo) che avanza. Con metodi, sembra, più rilassati. O meno aggressivi. Esattamente quelli utilizzati da Blasi: che avevano cominciato a stancare gli innamorati del pallone e, più in generale, la collettività che pensa. O che possiede una coscienza critica.