giovedì 12 giugno 2008

Ma lo stadio non diventi un pretesto

Il Taranto: impossibile trascurarlo, evitarlo. E non amarlo: perché ci offre quotidianamente l’occasione di scrivere, di esistere. Dunque: Blasi, adesso, tace e per lui parla Galigani, il direttore generale del club. Che riporta esattamente quanto, a questo punto, ci attendevamo di ascoltare. Cioè: al di là della delusione della promozione mancata e del contraccolpo psicologico che ne deriva, il futuro della società (e la volontà del suo caudillo) sono indissolubilmente legati alle condizioni precarie (e alla loro evoluzione) dello stadio Iacovone. Traduzione: senza struttura (leggasi: senza accordo sulla gestione dell’impianto, alle condizioni del Taranto), non esiste più il progetto e non è praticabile l’ipotesi di riorganizzarsi e ripartire. Forse, le parole non sono proprio quelle. Ma il senso sì, ci sembra. D’accordo, il problema-Iacovone è esistito e, sicuramente, resiste. Anche se il sindaco della città bimare, Stefano, ha confermato che i lavori di ammodernamento proseguiranno nei tempi previsti. D’accordo, uno stadio sicuro e affidabile significa serenità interiore, marketing e diritti pubblicitari da sfruttare. E, ovviamente, un’affluenza sugli spalti più copiosa: anche se la media, playoff esclusi, parla di quattromila unità a partita, più o meno. D’accordo, Blasi è un imprenditore e l’azienda calcio necessita di certezze. E non può rinunciare a un punto di riferimento essenziale come la casa: ciò che lo stadio è per una società sportiva. Ma gradiremmo, per onestà intellettuale, che lo stadio non diventi lo strumento fittizio di un’eventuale soluzione di continuità dell’èra-Blasi. Cioè di una decisione che il presidente ha il diritto di prendere, se lo ritiene opportuno. Senza, però, cavalcare le cause. O pilotarle. Blasi può lasciare il Taranto, ne ha facoltà. E nessuno può impedirglielo. Ma solo ringraziarlo per quanto assicurato sin qui e per quanto ottenuto sul campo (una salvezza in C2, una promozione in C1, una semifinale playoff l’anno scorso e una finale dodici mersi dopo). Blasi, però, non può confondere i propri desideri e le proprie legittime aspirazioni con i diritti. Non in un momento (come questo) particolarmente delicato per la città. Né utilizzare un pretesto per legittimare le proprie intenzioni.