lunedì 21 dicembre 2009
Il nuovo Francavilla è più squadra
Il nuovo Francavilla possiede maggior personalità, prova a dettare il gioco, viaggia a ritmi più alti. Detto in una frase, è più squadra. E sembra migliore della sua precedente versione anche sotto il profilo atletico: anche se, in fondo ad una gara densa, un po’ di stanchezza affiora. Non è difficile accorgersene. Rivisitato e corretto (molto rivisitato, decisamente corretto), l’organico affidato (o riaffidato) alle cure di Mino Francioso offre le garanzie che il materiale umano gestito dall’avvio di torneo da De Rosa non avrebbe saputo assicurare. Il concetto è indiscutibile, ci pare. E ci sembra anche che la riuscita della missione (la salvezza) possa essere possibile. Primo, perché questo gruppo sembra deciso a battagliare. Secondo, perché il Francavilla che supera in casa la Casertana (uno a zero, al fotofinish) non appare disposto a soprassedere prima di aver tentato tutte le strade. Terzo, perché le concorrenti da inseguire sono tuttora visibili. Quarto, perché in questo campionato non c’è eccessiva qualità diffusa. Quinto, perché certi segnali qualcosa devono pur dire. Per esempio: la Casertana si difende discretamente e il Francavilla non riconosce facilmente la porta (per l’occasione, davanti, stazionano due under, Maraschio e Schirinzi: il difetto di esperienza esiste e si nota). Il nuovo artigliere Radicchio, oltre tutto, è ancora indisponibile, così come Maraglino. Eppure, ad una manciata di minuti dalla conclusione del match, il diciannovenne Paciullo si ritaglia una possibilità, rilevando proprio Schirinzi, e la sfrutta benissimo, correggendo una palla vagante davanti alla porta. E risolvendo una partita mai semplice e in via di archiviazione. Ma caratterizzata anche da un dato, che non va sottaciuto, né dribblato: Francioso, nel corso dei novanta minuti più recupero, anche per un’esigenza reale dettata dalle contingenze, utilizza ben otto giovanissimi, partendo peraltro con sei sottoquota, uno in più del dovuto. Francavilla giovanissimo sì, ma anche tenace. E prossimamente, chissà, anche più appuntito. Che è poi la condizione necessaria per festeggiare, a maggio. Senza la quale, è ovvio, il resto sono chiacchiere. O speranze devitalizzate.
domenica 20 dicembre 2009
Gallipoli, adesso bisogna capire
Prima Mancini, poi Scaglia. Il Gallipoli ribalta un match nato difficile, scaccia le ombre della Reggina e completa la manovra di ancoraggio alla fascia mediana della classifica. Quella manovra interrotta per un po’ e che, per questo – inutile nasconderlo -, aveva generato dubbi, paralleli (e chissà quanto consequenziali) alla bassa pressione calata sulle questioni societarie. Vittoria di pregio, ma pure legittima: per quantità di calcio e per la capacità di allargarsi e stringere l’avversario, di cambiare il gioco, di imprimere ritmi convincenti. Che, idealmente, suggella l’anno più importante della storia del pallone in quest’angolo di Salento. E che aiuta la formazione di Giannini ad affacciarsi su un girone di riorno per alcuni versi misterioso. Perché misteriosa è la composizione dell’organico che uscirà dall’imminente riapertura del mercato (girano molte voci, troppe: e qualche protagonista potrebbe abbandonare). E perché tuttora misterioso è la politica gestionale del club: del resto, è stata appena saldata una sola mensilità, proprio alla vigilia della gara di ieri. Meglio di niente, certo. E qualcosa in meno di abbastanza, è chiaro. Quanto basta, comunque, per non spegnere (nella tifoseria e, soprattutto, nella squadra) il desiderio di capire cosa si annida dietro il futuro.
martedì 15 dicembre 2009
Il cuore del Taranto. E la polemica di Brucato
Scomodiamo un luogo comune: vince il cuore. O la rabbia, come suggerisce Brucato. Non può vincere, del resto, solo il calcio del Taranto. Che non coltiva ancora un progetto e che non abbonda neppure di razionalità. Non è (né può essere), infatti, razionale la squadra che liquida il Cosenza nel posticipo serale del lunedì. Che, sì, nella ripresa stringe l’avversario, ribaltando lo score, ma appellandosi all’urgenza, alla neccesità, alla disperazione (altri luoghi comuni: e va bene). E all’orgoglio, anche. L’orgoglio di chi, come Felci, sembra aver chiuso in anticipo l’esperienza in riva a Mar Piccolo e che è parte integrante della lista nera stilata dalla società. O di chi sta vivendo i suoi giorni tra la disapprovazione della gente. Tre punti di rabbia, allora. Dettati dal cuore. Buoni a rilanciare Scarpa e compagni. E ad azzerare la prova del Cosenza, intelligente per un tempo. Il primo. Il Cosenza che, da principio, coniuga sacrificio, culto dell’attesa, quantità e scaltrezza. Per poi abbassarsi e abdicare. Cioè, per piegarsi: in coda ad una partita solcata dai dubbi (il direttore di gara sembra negare un penalty a Biancolino, ma poi convalida il vantaggio bruzio, viziato da una situazione di offside). Ma, prima di vincere, il Taranto – ancora una volta – dimostra di non possedere fluidità, si slabbra, s’intimidisce. Il momento storico è difficile e i timori emergono tutti. Che solo la determinazione e l’accelerazione dei ritmi, più tardi, riusciranno a distanziare per almeno sei giorni. Dopo aver vinto, invece, il tecnico ingaggia un lungo duello verbale con la stampa. Che chiede, ma senza livore. Per capire, se non altro, le scelte iniziali di Brucato (Correa non si siede neppure in panchina): ovvero nulla di particolarmente scandaloso, normalissima routine. Ma la mourinhizzazione della dialettica si allarga velocemente e approda tra i due Mari. Dove, a questo punto, diventa praticamente inutile frequentare la sala stampa. E dove occorrerà accontentarsi della semplice verbalizzazione delle parole di circostanza.
lunedì 14 dicembre 2009
Manca l'ardore, cade il Grottaglie
Il Grottaglie cade ancora. E ancora in casa. Forse non si fa troppo male (il margine di sicurezza dal quartiere più caldo della classifica è tuttora ampio), ma, nell’approccio e nella gestione della gara, c’è qualcosa che non convince. Al di là della differenza di spessore tra la formazione di Maiuri e il Pianura, squadra creata per vincere e per imporsi tecnicamente, ma che una dose di dinamismo in più avrebbe potuto arginare di più e meglio. L’approccio, dunque: il Grottaglie nasce imballato, lento. Si adegua al ritmo (basso) dell’avversario: che, però, può permetterselo. Non aggredisce: e la rete del vantaggio (deviazione decisiva) non modifica il senso del discorso. Vero: i campani soffrono lo svantaggio e si perdono, per un po’. Ma poi le risorse bastano a rianimare l’undici di Gargiulo e a ribaltare lo score. Oltre tutto, l’assetto difensivo dell’Ars et Labor è tenero, permissivo. La gestione del vantaggio, cioè, lascia perplessi. Anche se, a ripresa appena cominciata, l’accelerazione delle operazioni conduce al pareggio. Temporaneo: perché, sulle palle inattive, i partenopei si appoggiano spesso e bene. E perché il Grottaglie, sotto pressione, continua a sbandare. Senza – ed è questo il peccato più pesante – abbozzare al momento giusto una reazione convincente. Detto tra i denti: non è scandaloso soccombere di fronte al Pianura. Ma lascia perplessi la quantità di agonismo profuso. In un campionato dove, prima di tutto, contano la corsa e l’ardore.
domenica 13 dicembre 2009
La libidine di Ventura
Puntare, colpire. E poi presidiare. Rischiando qualcosa, magari: ma è inevitabile. Come un penalty da cui difendersi. E che, però, la Juventus sciupa, con Diego. E, poi, ripartire. Cioè, giocarsela sino in fondo, come si augurava (e chiedeva) Ventura alla vigilia. Infine, affondare l’avversario. Coordinate di una notte da ricordare. Di un match da dedicarsi. Il Bari che si porta un gol avanti e che si fa raggiungere, che torna a condurre e che quasi si lascia riprendere, sprinta per bene e chiude l’anticipo di campionato sul tre a uno. Tutto bello, tutto vero. Tre a uno, risultato che azzera definitivamente l’appeal tra Ferrara e la gente che tifa in bianco e nero e che, invece, rinsalda il legame tra Ventura e la gente di Bari. Già, Ventura. «Alleno per libidine», aveva dettato poche ore prima della recita al San Nicola. E questa classifica è davvero una libidine. Guardare per credere. A metà torneo già sviscerato. Come dire: non è proprio una casualità. Quattro mesi di pallone fanno testo. E come. E possono essere tranquillamente analizzati. Per quello che hanno detto, sin qui. Ripartenze veloci, ma anche possesso di palla, idee chiare, predisposizione alla battaglia, freddezza e un po’ di coraggio: c’è questo ed altro, in una notte dal gusto particolare. Come la prestazione di Almirón, uno che arriva proprio dalla Juve e che cercava riscatto, soddisfazioni perdute, rivincite. «Il Bari ha legittimato la propria supremazia», chiosa il coach nella mix zone, a gara appena consumata. Parole chiare e forti. Anche questa è libidine.
giovedì 10 dicembre 2009
Noicattaro, ecco i problemi di sempre
Tre a zero secco e vero. Improcastinabile: per la sete del Gela e per la differente caratura tecnica che costringe il Noicattaro ad arrendersi senza troppo discutere. La squadra di Carella, mai nel cuore della partita e decisamente remissiva, si riappropria dei vecchi problemi di tenuta e di classifica, che traduce con trasparenza l’ultimo mese di calcio improduttivo. Rendendo vani i progressi dell’altro ieri, che avevano lasciato sperare, ma che non avrebbero mai potuto tranquillizzare. Perché il problema è alla fonte: l’organico, al di là di qualche bagliore, è molto tenero per garantire una salvezza che non passi dalla porta dei playout. E inventarsi qualcosa è sempre ingrato. Soprattutto se la riapertura delle liste non porterà buone notizie. Ecco, il punto è questo: il secondo segmento di mercato si avvicina e tra poco capiremo se il presidente Tatò confermerà la scarsa voglia di continuare ad investire per l’espressione calcistica di una città che non risponde. E se, piuttosto, preferirà destinare le proprie risorse in favore della resurrezione del pallone a Bisceglie, dove è appena approdato. Ma, se proprio ci chiedete un pronostico, scommetteremmo molto poco sul robusto rafforzamento del Noicattaro. Il ciclo si sta esaurendo: e, questa volta, è proprio vero. Chi ancora ha voglia di entrare nella questione, se ne faccia una ragione. Più o meno come Carella, per esempio: ma lui, una ragione, se l’è fatta da tempo.
mercoledì 9 dicembre 2009
Taranto, attendendo gennaio
Non rimane che attendere gennaio. E il mercato che riapre. Perché il Taranto cambierà tratti somatici. Perché il Taranto, sfigurato anche dal derby di Andria, deve cambiare passo e protagonisti. Al di là delle esigenze (ormai visibilissime): perché patron D’Addario è stato chiarissimo. Ribadendo un concetto ormai datato e solo per un po’ accantonato. Troppa gente, nello spogliatoio. Troppa gente che non si industria. Che non incide sul campo. Che non crede al progetto, quello dell B, per niente accantonato da chi comanda la nave: e che, dunque, non segue le direttive della società. E, aggiungono troppi osservatori, neppure quelle del tecnico Brucato, peraltro invitato dal presidente a perseverare. Ma con giudizio: cioè, ascoltando le ragioni e, soprattutto, i consigli (tecnici, tattici, comportamentali) della proprietà. La cattiva figura di Andria (sconfitta senza alcun onore) sembra aver scritto la fine di un capitolo. E l’inizio del nuovo. In cui il coach, ancora più di prima, dovrà adeguarsi. E condividere. Tanto da dover accettare l’ombra di Franco Dellisanti, tecnico della formazione Berretti promosso al ruolo di tutor o di qualcosa di simile. Sì, Dellisanti: recentemente messo in discussione per il proprio lavoro svolto all’interno del settore giovanile e, adesso, evidentemente rafforzato da un’ulteriore dose di stima. Caso singolare, indubbiamente: se non altro, perché l’idea di tutor (o di consigliere, seppur esperto) che arrirva dalla base (il vivaio, appunto) non depone troppo in favore del tecnico della prima squadra, sin qui non eccessivamente ascoltato dalla truppa e, ora, ulteriormente delegittimato. Ma tant’è. Non ci rimane che attendere gennaio. E la rivisitazione di un organico che non risponde. Anche se l’epurazione (già minacciata e poi congelata) comincerà prima. Sùbito, anzi. Del resto, è inutile perdere altro tempo: un allenatore (qualsiasi allenatore) non potrà trarre molte indicazioni ed energie da giocatori che sanno di dover andare via. Dunque, delegittimati anche loro: agli occhi della gente. Che conosce perfettamente, ormai, nomi e cognomi dei partenti.
lunedì 7 dicembre 2009
Brindisi, vince il cuore
A quattro minuti dalla fine può cambare il palcoscenico. E gli attori possono mettersi in salvo. Potere di una vittoria: che, sicuramente, non stravolge la classifica. Ma che può deviare il destino o il corso della storia. Perchè il mercato di riparazione sta per aprire e una società che vuole vincere deve pure inventarsi una soluzione. Partendo, forse, dall'idea più immediata: la sostituzione dell'allenatore. A quattro minuti dalla fine, il Brindisi torna a vincere. E lo fa contro il Catanzaro, indiscusso sovrano del girone. Digrignando i denti, con un rush finale dove comanda il cuore. Quello stesso Brindisi che, in campo, si presenta con gli stimoli giusti e che, però, finisce per imbottigliarsi nella sua stessa sete, nella sua stessa urgenza. Silva sceglie il 4-4-2 e, quindi, l'equilibrio: ma questo è un tipo di gara in cui necessita il guizzo, l'intuito. Moscelli lavora molto per la causa comune, ma non trova varchi per sè. E poi l'avversario (leader con largo vantaggio) è nelle condizioni di poter governare. Peggio: quando i ritmi si abbasano, il Catanzaro fa girare meglio la palla, alza la linea di difesa, intensifica il presing e anche l'intensità. Lasciando capire di essere più reattivo. O, semplicemente, dentro la partita. Anche se, alla conclusione, la squadra di Auteri non arriva mai. Ma proprio mai. Nell'intero arco dei novanta minuti. Cosa che, talvolta, riesce a fare il Brindisi: al quale viene ingiustamente annullato il vantaggio firmato da Da Silva. Però, il secondo tempo degli adriatici è più vispo. I calabresi rintuzzano, ma Trinchera e compagni ci mettono anche maggior quantità, riuscendo infine a passare. Sfruttando, forse, la cattiva gestione del momento o la difettosa lettura delle pieghe del match di un Catanzaro che si crede inattaccabile. E che, però (onore al merito) non si trincera, accettando il confornto aperto, sempre. «I ragazzi hanno saputo attendere», rivelerà Silva negli spogliatoi. Vero anche questo. Come sembra genuino quello spirito di gruppo che schizza quando serve, quando sembra scadere anche il tempo di pensare. Quando sono ancora vivi, in tribuna, i fotogrammi di uno dei fratelli Barretta che si alza nervoso e scappa via, a primo tempo ancora in corso. E i fotogrammi di quella sciarpa scagliata con rabbia, per terra. Molto più di un messaggio. Molto più di un indizio.
Gallipoli, soltanto complimenti
Visto così, il Gallipoli è molto meglio del Torino. Più vivo, più convincente. più cerebrale, più pungente. Tutte qualità che non bastano: perchè la quantità della formazione di Giannini non si riassume nel gol e perchè la sofferenza dell'avversario sfocia in un successo che, sinceramente, stona. Come Beretta, nocchiero ospite, sottolinea con onestà, dopo il novantesimo. Gioca con maggior chiareza, il Gallipoli. E paga dazio oltre la normalità: ma la consapevolezza di essere stato defraudato di qualcosa può fortificare il gruppo, che si sta dotando di anticorpi nuovi, utili per il domani. Anzi: la squadra si sta convincendo, giorno dopo giorno, di poter controbattere con argomenti buoni anche la borghesia della B. E tutto questo può contribuire sensibilmente ad alimentare l'autostima di Ginestra e soci. Tutta gente che è migliorata tantissimo, dalle prime battute del torneo ad oggi. Singolarmente e collettivamente.
A margine: mentre la squadra guadagna gradatamente nuove simpatie, la società è ormai chiacchieratissima. Prima la querelle tra il presidente D'Odorico e l'ormai ex direttore sportivo Fioretti (accuse velate e incrociate, divorzio condito da malumori), poi la polemica tra il patron di oggi e quello di ieri (Barba, che non avrebbe ancora riscosso neppure una parte di quanto gli spetta per la cessione del club) e, infine, la battaglia legale che l'amministrazione comunale di Lecce, proprietaria dello stadio in cui il Gallipoli sta disputando le gare interne, starebbe per intraprendere. Per un motivo serio: il mancato pagamento dei fitti mensili della struttura. Che sta accadendo? D'Odorico ci aiuti a capire. In fretta, magari.
A margine: mentre la squadra guadagna gradatamente nuove simpatie, la società è ormai chiacchieratissima. Prima la querelle tra il presidente D'Odorico e l'ormai ex direttore sportivo Fioretti (accuse velate e incrociate, divorzio condito da malumori), poi la polemica tra il patron di oggi e quello di ieri (Barba, che non avrebbe ancora riscosso neppure una parte di quanto gli spetta per la cessione del club) e, infine, la battaglia legale che l'amministrazione comunale di Lecce, proprietaria dello stadio in cui il Gallipoli sta disputando le gare interne, starebbe per intraprendere. Per un motivo serio: il mancato pagamento dei fitti mensili della struttura. Che sta accadendo? D'Odorico ci aiuti a capire. In fretta, magari.
giovedì 3 dicembre 2009
Tanto per farsi del male
Il pallone è ostico a qualsiasi latitudine. Da un po’, anche a Grottaglie, piazza di tradizionale serenità. L’Ars et Labor arriva da una stagione travagliata: l’ultima. Macchiata da una retrocessione sofferta sul campo, ai playout, e poi riabbellita dal faticosissimo ripescaggio Adesso, è una formazione che prova a trovare una quadratura definitiva e che cerca di ottenere l’obiettivo (la salvezza) senza faticare troppo. Il disegno, oggi come oggi, sembra riuscire: la gente di Maiuri, in coda ad una partenza affannata, ha saputo costruirsi una credibilità e, innanzi tutto, una classifica. Ma il Grottaglie è una formazione che cerca conferme e che non può prescindere dall’organizzazione in campo, da una condizione psicofisica confortante e dall’impegno consapevole: in settimana, così come ogni domenica. Cioè: per sopravvivere, deve farsi trovare nelle migliori condizioni. Sempre. Diverse volte, accade. Talvolta, no. Domenica scorsa, ad esempio: quando il Matera, abituato ad imporsi lontano dal campo amico, ha violato l’erba del D’Amuri. Senza scandalo, sia chiaro. E denudando qualche problema che, evidentemente, il Grottaglie si porta dall’avvio della stagione. E che, probabilmente, lo accompagnerà sino alla chiusura del torneo, se la seconda sessione di mercato non provvederà a migliorane i contenuti o a limarne le difficoltà. La sconfitta, peraltro, non sembra aver pregiudicato assai la classifica, ancora rassicurante. Ma ha stizzito (anche parecchio) la tifoseria. E la contestazione (di contestazione vera e propria, infatti, si tratta) ha ferito il gruppo. Comprensibilmente: perché iniqua. Esagerata. E affrettata. Ma anche discendente diretta dell’insoddisfazione accumulata nel passato torneo. Ormai andato via, con tutte le sue problematche e le sue polemiche. Polemiche che, forse, qualcuno vorrebbe trasportare sin qui. Per motivazioni oscure o trasparenti: dipende dalle angolazioni di osservazione. Così, tanto per farsi del male.
martedì 1 dicembre 2009
La chiarezza di Sciannimanico
Troppo spreco. E, di contro, un Cassino quadrato, furbo. E più tonico, sotto il profilo della manovra. Il Barletta si arresta nel pieno della propria evoluzione, in casa propria. E la delusione dell’ambiente è più evidente, dopo il match di Brindisi, impastato di coraggio e intelligenza, e - soprattutto - in coda a cinque risultati favorevoli di fila. Certe speranze, dunque, si infrangono presto. Troppo presto. Ma non è lecito neppure meravigliarsi: la C2 ci ha abituati a frequenti inversioni, che valgono per tutti. Oppure stizzirsi. Perché, sul campo, è sempre difficile inventarsi qualcosa. E perché il campionato non può non tenere conto delle premesse, della cifra tecnica di ciascuna squadra, della qualità complessiva di ogni concorrente e del concetto di discontinuità, che è poi il marchio di fabbrica della quarta serie. Coach Sciannimanico, peraltro, si nutre delle proprie esperienze personali e conosce i problemi del suo gruppo: «Il Barletta non punta ai playoff, né può farlo – detta al novantesimo -. Ci sono limiti strutturali, conosciuti prima di cominciare la stagione. La costruzione della squadra è stata influenzata dai problemi incontrati dalla società in estate: l’ho già detto e credo di parlare un italiano comprensibile. Pensiamo a salvarci il più presto possibile, piuttosto. Chi vuole capire, intenda». Parole vere, che sottoscriviamo. A fari spenti, il Barletta viaggerà più sicuro. E, se qualcuno si adombrerà, pazienza.
lunedì 30 novembre 2009
Il miglior Taranto non basta
Tra il Taranto e la vittoria di pregio c’è un gol (di Scarpa) al limite dell’offside, che – però- fuorigioco non è. Il direttore di gara cade nell’equivoco e il Verona scansa il primo dispiacere esterno. E, infine, c’è anche una traversa, a partita praticamente consumata: che disperde la maggiore applicazione della formazione di Brucato, finalmente competitiva (è, probabilmente, la migliore versione stagionale). Sfugge il risultato massimo, resta la prestazione: rassicurante, nel complesso. Perché il Taranto assume la fisionomia di un collettivo: dettaglio che è, poi, un obiettivo datato. Malgrado un avvio generoso, eppure affaticato in fase di realizzazione. E sì: Migliaccio e compagni spingono, ma faticano ad arrivare in fondo (difettano l’ultimo passaggio e l’affondo vincente). Ma il Taranto è podismo e dinamismo: spende tanto, obbligando tuttavia la formazione di Remondina a rincorrerlo. Il Verona punta ad una gara di presidio vigile, imbastisce qualche ripartenza acuta, si mantiene sufficientemente alto: però, in fase di possesso, offre meno di quello che la posizione di classifica occupata dovrebbe promettere. La pressione jonica, inequivocabile, si attenua nella ripresa: quando i veneti cominciano ad occupare meglio gli spazi, sottraendoli all’avversario. E quando, comunque, sgorgano le occasioni più succose. Il successo, alla fine, non stonerebbe affatto. Ma non arriva: e il quartiere dei playoff si allontana un altro po’. Patron D’Addario, comunque, al novantesimo è ugualmente soddisfatto. E lo è anche Brucato (questa però, non è una novità). Se non altro perché il nome di Bortolo Mutti smetterà di circolare. Per qualche giorno, nella peggiore delle ipotesi.
domenica 29 novembre 2009
Lecce, rincorsa di carattere
Due a zero, sùbito. E il Grosseto sogna. Ma il Lecce ruggisce. E ribalta il punteggio. Com’era già accaduto in passato, peraltro. Riacquisendo la leadership di B, al fianco dell’Ancona. Leadership che la gente di De Canio dimostra di poter gestire e di voler meritare. Con un seconda frazione di gioco dinamicante corretta (il ritorno sul campo di Munari non passa inosservato) e caratterialmente robusta. Con quella forza di reazione che dribbla le oscurità di inzio partita, devitalizzando le leggerezze di un assetto di presidio non sempre convincente. E che si lascia tagliare troppo spesso. Ma rimediare è una scienza che accompagna la conquista e questa squadra possiede la capacità di rigenerarsi, anche tra le avversità: un particolare che, nel pallone di oggi, vale più delle qualità tecniche e delle modalità tattiche. Il messaggio inviato, intanto, è chiaro: adesso, il Lecce sembra davvero maturo per affrontare tutte le insidie del torneo. E questa maturità si è sviluppata con il lavoro, nel tempo. Questo collettivo, oggi, è combattivo, credibile. Si è armato, come si dice, anche della mentalità migliore. E sembra essersi calato definitivamente nella realtà della seconda serie.
sabato 28 novembre 2009
Dodici milioni per sentirsi dire no
Venticinque milioni di euro: così parlò Tim Barton, l’americano che inseguiva senza fretta il Bari e, soprattutto, il business più o meno nascosto del fotovoltaico. E Matarrese decise di trattare. Anzi, di chiudere la trattativa. Prima della conclusione grottesca, tra sospetti, fraintendimenti, mezze frasi e disimpegni. Venticinque milioni: e il passaggio di consegne avrebbe potuto mutare il destino del club, chissà. Rimasto, come sappiamo, nelle mani della famiglia che cura il calcio in riva all’Adriatico da oltre trent’anni. Neppure il tempo di acquietarsi ed ecco una nuova proposta: la Meleam, recentemente accostata al Gallipoli, vorrebbe rilevare onori e oneri della società di via Torrebella. Con un’offerta dimezzata: dodici milioni di euro. Che Matarrese ha prontamente rifiutato. Dodici milioni, invece di venticinque o giù di lì. Un modo come un altro per vedere l’effetto che fa. E per sentirsi rispondere che sarà per un’altra volta. Attorno, resta solo un po’ di rumore. E l’omba di un’alternativa: aumentare la posta. Sempre che Vincenzo Matarrese non si sia offeso.
venerdì 27 novembre 2009
Ostuni, cambia qualcosa. O quasi niente
Il calcio non possiede formule esatte. E neppure orizzonti sempre chiari. Il caso dell’Ostuni, a suo modo, è emblematico. Perché la società, immediatamente dopo la promozione ottenuta nella fase degli spareggi interregionali, a maggio scorso, dichiara la propria inattendibilità economica, complicando le pratiche di iscrizione al torneo di serie D e il processo di rinnovamento tecico. E perché, Carbonella si ritrova ad affrontare il campionato con un organico niente affatto completo e, oltre tutto, mal carburato da un ritiro cominciato tardi. Ma qualcosa succede e il club si rinnova: la nuova dirigenza promette nuovi argomenti e cambia guida tecnica (in panca arriva Lombardo). E, invece, sembra proprio Carbonella l’uomo giusto al posto giusto: se non altro, perché conosce la piazza, i giocatori e le insidie del percorso. La storia recente ci racconta però delle difficoltà non superate dal tecnico emiliano e del nuovo travaso societario: dentro la vecchia gestione, che riporta al comando della squadra Carbonella. Alla fine, cambia poco. Perché la società naviga nel mare del disagio e perché il vecchio allenatore si ritrova esattamente al punto di partenza: con una formazione infastidita dalla classifica e un futuro incerto. Ma qualcosa cambia ugualmente, tuttavia: perché l’Ostuni sembra recuperare un po’ di manovra e un po’ di personalità, sempre buone sul campo. E utilissime per collezionare qualche punto: la trasferta felice di Pisticci, proprio domenica passata, rinvigorisce anche il morale. Spiegando che questa squadra può diventare competitiva con un paio di puntelli. Ed è proprio questo, il problema: i puntelli, quindi un ulteriore sacrificio finanziario. Che non sembra facilmente ipotizzabile. Perché, appunto, la vecchia gestione è ancora lì a galleggiare, nella speranza di sopravvivere il più a lungo possibile. Mentre la gente si chiede se è davvero cambiato qualcosa. E se la lievitazione dell’undici di Carbonella diventerà un rimpianto in più.
giovedì 26 novembre 2009
Casarano, l'aria è cambiata
Cinque partite vinte, una dopo l’altra, aiutano chiunque. Anche il Casarano, sin qui bisognoso di parecchia rabbia spendibile e, adesso, un po’ più ispirato sull’erba di casa e pure su quella altrui. Una quindicina di punti in tempi brevi cambiano la classifica: è lapalissiano, sin troppo ovvio. Quasi alla metà del cammino, così, la squadra affidata al chiacchieratissimo Salvo Bianchetti muta i suoi orizzonti e comincia a riconsiderare certi argomenti accantonati per un po’. Il successo di Caserta, domenica scorsa, fortifica la bontà del momento storico e restituisce alla truppa il piacere di sentirsi nuovamente padrona del proprio destino. La Virtus autoritaria del Pinto, anzi, raccoglie tanti consensi e si ritrova a navigare nella zona playoff. Niente di meraviglioso, sia chiaro: ma, considerate le premesse, è già molta roba. Soprattutto se confrontiamo le differenze numeriche tra i salentini (ventidue punti, malgrado la partenza pessima) e il Neapolis, vice capolista a quota trenta. O il leader Sant’Antonio Abate (trentadue). Lo svantaggio - sembra strano, ma è vero – è complessivamente contenuto. Merito di un livellamento deludente e di una diffusa sofferenza: due elementi che aiutano a rilanciare una squadra - il Casarano, appunto – ritrovatasi nelle difficoltà e, ora, finalmente sostenuta dalla lievitazione di alcuni suoi singoli (D’Anna, Leopizzi, Bonaffini, lo stesso Villa ed altri ancora). Oggettivamente, però, questa Virtus non sorprende: soprprendeva, semmai, quella del recente passato. Ma a questo gruppo è giusto, prima di sbilanciarsi troppo, chiedere conferme. Ovvero, è giusto sincerarsi di un dettaglio: l’exploit è passeggero, oppure sul Casarano si può davvero contare? E, allora, facciamo così: attendiamo l’esaurimento del girone di andata (cinque match) e poi ne riparliamo seriamente. Ma l’aria, attorno alla gente di Bianchetti, è cambiata. E certi segnali non vanno sottovalutati. Mai.
mercoledì 25 novembre 2009
Francavilla, ritorno al passato
L’atteggiamento imbarazzante del Francavilla (la squadra è senza personalità, priva di carattere e strutturalmente ancora inadeguata al campionato di quinta serie) e la contestazione robusta della tifoseria in coda alla nuova disavventura interna (passa l'Ischia, questa volta) consigliano (o costringono) patron Distante a ridiscutere la guida tecnica. E a tornare indietro nel tempo. Via De Rosa, coach mai troppo calatosi nella mentalità del torneo e nelle problematiche del gruppo, sussurra qualcuno. Ed ecco, cinque mesi dopo, il profilo di Mino Francioso da Brindisi, nocchiero di quel gruppo (un altro gruppo, diverso nelle sue componenti e differente per caratteristiche) portato ad una salvezza comoda e anticipata, lo scorso campionato. Proprio Francioso, azzerato assieme al suo entourage (direttore generale, direttore sportivo, collaboratori sparsi sul campo) per inseguire il contenimento dei costi di gestione, neanche troppo evidenti. Il ritorno al passato è un po’ la sconfitta della politica di Distante, già obbligato a rivedere in corsa l’organico di partenza e già pronto a ritoccarlo ancora (il presidente non ama la sconfitta e possiede il buon senso necessario per ritrattare: l’ha fatto in passato, lo farà ancora). Ma, forse, può essere energia pura per il futuro prossimo: soprattutto se, come sembra, dovessero rientrare nell’universo del Francavilla figure professionali frettolosamente accantonate. Anche perché c’è ancora un intero girone di ritorno, per rimediare ad una retrocessione che, oggi, sembra l’epilogo più naturale.
martedì 24 novembre 2009
Il messaggio del Brindisi
Motivato. E, per diversi tratti, brillante. Agile nell’esposizione della manovra, rapido. E anche sicuro di sé. Iperattivo in Moscelli, pericoloso con Fiore, testardo nella ricerca del gol. Ma anche in vantaggio due volte: e due volte raggiunto. La bella prestazione del Brindisi non significa vittoria: perché, come dicevamo, il Barletta reagisce e sa mantenersi vivo. Ma la formazione di Silva percepisce la luce oltre il tunnel e si inventa molte situazioni che possono aiutare a tranquillizzarsi. Il gruppo si ritrova. Perché ritrova la coralità di espressione. E perché immagina che, certi argomenti, possono rivalutare il cammino. Il Brindisi si rinnova. E il derby gli lascia coltivare nuove ambizioni. Che non arrivano dal risultato finale, ma dalla radiografia della partita. Una partita assolutamente distante dalle abitudini del campionato, ma ugualmente preziosa. Dove Taurino e soci si riappropriano dell’identità perduta e anche del concetto di mutuo soccorso ultimamente sbiaditosi. Prima che cominci il match, quell’abbraccio vistoso della squadra, sinonimo di blocco unico e unito, è per la platea, ma è soprattutto una necessità interiore. E diventa messaggio, traccia, binario.
lunedì 23 novembre 2009
Barletta, all'ultimo secondo
A Brindisi protestano e protesteranno. Le modalità con cui si abbatte il pareggio del Barletta, a match già scaduto e a recupero già consumato, lasciano sul campo irritazione, malumore e un ventaglio di pensieri polemici. Ma il collettivo guidato da Sciannimanico è indomabile e non si arrende mai. Recuperando sull’ultima palla utile un derby densissimo, anche divertente, talvolta frenetico. Dove la circolazione di palla e la velocità di esecuzione sembrano vietare l’interruzione del gioco. Derby (sentitissimo: sugli spalti, la coreografia è particolarmente cromatica) che Carozza e soci costruiscono su un pressing inizialmente aggressivo (con il tempo, però, la ferocia si riduce) e su ripartenze sostanziose, sempre pungenti. D’accordo: c’è più Brindisi che Barletta, dal punto di vista della gestione del pallone. E la squadra di Silva si aggiudica i diritti di una indiscutibile supremazia territoriale: ancora più evidente nella seconda parte del match. Ma non condividiamo il giudizio severo (e di parte) di qualche addetto ai lavori, che priva la prestazione ospite di molti meriti e di tante verità. Una per tutte: il Barletta replica sempre e comunque. Lasciando giocare (difficile, del resto, arginare un Brindisi ispirato), ma ritagliandosi i propri spazi, disegnandosi una partita di sacrificio e di quantità, così come di personalità. Difendendosi, è evidente, ma senza barricarsi, come erroneamente pubblicizzato da qualche osservatore: malgrado la cattiva giornata di uno Sportillo nervoso e precipitoso. E, quindi, adattandosi ai ritmi impressi (sempre alti) dall’avversario. Offrendo, infine, continuità al proprio momento felice. Di cui è necessario approfittare: ponendo le basi per accelerere il processo di avvicinamento all’obiettivo dichiarato, quello della salvezza. Che, peraltro, si collega sapientemente al progetto di rafforzamento della base societaria, in via di definizione. Anzi, con queste premesse, la recente (ed inequivocabile) crescita del Barletta sancita dal campo non appare per nulla casuale.
sabato 21 novembre 2009
Pecchia e Porta, ultima chiamata?
Non è, questa, la stagione adatta al Foggia. Né avrebbe potuto esserlo, considerate le premesse. E non è, questo, un campionato che si adatta al blasone e alle intramontabili pretese della gente che tifa. E’, invece, un duemilanove di fatica grigia. In previsione di un altro semestre, il primo dell’anno che verrà, impastato di lacrime e sangue: se, come sembra, la definizione delle faccende societarie non subirà uno sviluppo conveniente e convincente. Non a caso, del resto, il numero uno del club, Tullio Capobianco, sta tentando di forzare i tempi, provocando istituzioni e forze imprenditoriali della Capitanata. Cercando i meandri più brevi per la soluzione ai problemi. Problemi che stritolano, ovviamente, anche la squadra: di per sé non eccessivamente carrozzata per guadagnarsi una salvezza agiata. O, comunque, per assicurarsi un cammino più regolare, che non dipenda esclusivamente dalle poche e isolate trovate di Salgado e Mancino, due singoli che possiedono intuizioni di altra categoria, ma troppo spesso imbavagliati dalla propria latitanza. E sì: perché, quando i big affrontano l’impegno con la lucidità (e le motivazioni) giuste, il Foggia cresce. Per poi riafflosciarsi sùbito dopo. Alla fine, dunque, al di là di qualche bagliore, la formazione di Pecchia e Porta è sempre lì, dentro il fosso. E i due tecnici, puntualmente, si ritrovano a fronteggiare la minaccia dell’esonero. Del quale, ormai, si sente parlare da più di un mese. Circola voce, anzi, che il match di domani (allo Zaccheria scende il Portogruaro) possa essere per la doppia guida tecnica la prova d’appello. L’ennesima. Brutta storia, per un Foggia ancora acerbo e spesso assente. E per due allenatori ormai abbondantemente delegittimati: non dalla società, magari, ma dall’ambiente. Certe volte, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia.
venerdì 20 novembre 2009
Un calcio geograficamente corretto
Esiste anche un calcio geograficamente corretto. E’ quello quasi sommerso dei dilettanti di facciata. Quello dell’Eccellenza o della serie D. Un calcio che non si lascia alla casualità, che vive di ritmi e contenuti propri. Che si nutre di se stesso, delle sue peculiarità, dei suoi uomini, delle sue idee e delle proprie situazioni. Che necessita del suo stesso humus, per sopravvivere. E, comunque, di gente che lo conosce profondamente e lo coltiva assiduamente. Che lo mastica da sempre, cioè. Un pallone di confine che il calcio dei grandi un po’ irride: sbagliando. Ma, sicuramente, questa non è materia per improvvisatori. Tutto vero, non sorridete. Tanto vero che rischiamo un concetto: i campionati dilettantistici (si fa per dire) di Puglia sono a misura dei pugliesi. E rifiutano puntualmente l’apporto dello straniero. Boutade? Niente affatto. Guardate, ad esempio, il fermento sulle panchine di casa nostra: difficili da gestire per chiunque, ci mancherebbe. Ma, soprattutto, per chi arriva da fuori. Chi, evidentemente, non conosce i meccanismi del calcio di queste contrade. E la sua realtà. L’azzardo di dirigenze un po’ miopi o, meglio ancora, superficiali trascina, talvolta, coach di oltre confine (e di estrazione calcistica diversa) tra la Capitanata e il Salento, tra l’Adriatico e lo Jonio. E il pericolo di franare è altissimo. Lo dicono le statistiche. Anche quest’anno. Soprattutto quest’anno. E’ il caso del nordico Lombardo, calatosi a torneo iniziato nei problemi dell’Ostuni: malgrado la diffidenza di molti addetti ai lavori. Compresa la nostra. Bene, Lombardo è già tornato a casa, travolto da un mondo che non è il suo, oltre che dalle insidie di percorso. Come Carmelo Miceli, calabrese scritturato ad agosto dal Sogliano e già sostituito dal leccese Levanto. Come lo stesso Orlandini (lombardo, ma mesagnese di adozione, quindi abbastanza pugliese per essere considerato straniero), eppure sùbito esautorato dal Tricase. E come Karel Zeman, figlio di Zdenek, palermitano che aveva accettato l’offerta del Maglie tramortito domenica scorsa a Terlizzi. Risultato: esonero(anzi, congelamento) ampiamente previsto. Traducendo, tutte operazioni estive anomale e puntualmente naufragate. Non ci sembrano coincidenze, ma conseguenze. Perché il pallone di Puglia possiede una sua logica, un suo dna, una propria gestazione. E una propria prateria di protagonisti. Autoctoni.
giovedì 19 novembre 2009
Non toglieteci la storia
Dopo il Grande Salento, la squadra del Basso Salento. Che riunisca un po’ di passioni e di piazze affamate: di calcio e visibilità. E, magari, anche le forze economiche di un angolo di periferia. Un soggetto unico che convogli gli interessi di città come Gallipoli, Casarano, Tricase, Maglie, Galatina, Nardò. E Racale, magari: dove il calcio, ultimamente, si è risvegliato con la forza del denaro. L’idea di D’Odorico, presidente appena sbarcato sullo Jonio, non è piaciuta, però, alla gente che tifa Gallipoli. E che è pronta a difendere il bene prezioso della B con la ragione sociale più cara. Il progetto è stato sùbito contestato: sonoramente. Con il pallone non si scherza. E con le rivalità (storiche) neppure. Il calcio, del resto, è bello anche per questo: perché riassume in sè anche i valori dell’identità di ciascuno. E perché profuma di storia, sia pure sommersa da decenni di anonimato. E poi c’è un’altra questione: è il calcio che cambia e che un po’ ci sta cambiando, quello che non va. E che non va alla gente. Ci hanno tolto molto: il piacere di acquistare il biglietto al botteghino dieci minuti prima del match, le divise di una volta, la partenza simultanea di tutti i campionati, l’integrità dei calendari, la numerazione classica delle maglie da gioco e chissà cos’altro, a cui ci siamo già abituati. Senza accorgercene. Ma non privateci anche del campanilismo (anche quello più becero), dei derby di provincia, del sale di molta storia del pallone. E poi, pensandoci bene, le fusioni – nel calcio – durano quello che devono durare: un mese, un anno. E tutto torna come prima. O quasi. Perché il business scivola via. E la storia resiste.
mercoledì 18 novembre 2009
Le riflessioni di D'Addario
D’Addario sembrava deciso, al riparo di un microfono, appena un giorno prima: deciso a caricarsi nuove responsabilità, a rafforzare la propria politica interventista, ad aggredire il problema. Che, però, avrebbe potuto generarne altri. E, invece, il presidente torna indietro. Congela la scelta epocale. Riflette. O, magari, è consigliato a riflettere. Il riassunto di quarantott’ore calde in pochi flash: il Taranto che, nonostante la soddisfazione professata dal tecnico – inciampa a Portogruaro, allontanandosi dalle poltrone di maggior prestigio, continua a non convincere. Né la tifoseria (la contestazione, immediatamente dopo la gara, finisce per complicare -più o meno involontariamente - il viaggio di ritorno della comitiva, costretta a ripiegare su un autobus di fortuna), né il suo presidente. Uno, cioè, che non è abituato a perdere. E che non rinuncia neppure a prendere posizione. Con il temperamento dei più esigenti e l’azzardo dei neofiti. D’Addario, dopo la prima sconfitta della gestione Brucato (otto punti in sette gare: migliore, a questo punto, il cammino della squadra affidata, in prima battuta, a Braglia), interviene daglki schermi televisivi Pesantemente. Prospettando di esautorare (epurazione è un termine che non gli piace) una decina di effettivi dell’organico. I quali avrebbero potuto continuare ad allenarsi (tra mugugni e fastidio, immaginiamo) con il gruppo, senza poter contare – da qui sino a gennaio, tempo della riapertura del mercato – sul privilegio della convocazione. «Trentuno disponibili sono troppi. Con venti, l’allenatore potrà lavorare meglio», fa sapere il patron. Minacciando di accorciare, dunque, il raggio d’azione del coach. Come a dire: così dovrà essere, si adegui. Il caso non è assolutamente originale (i precedenti esistono), ma delicato: perché la ventilata decisione non affonda le radici su motivazioni extracalcistiche (è la società che detta una linea di comportamento che i dipendenti sono tenuti a rispettare: altrimenti, sanziona), ma su questioni squisitamente tecniche, di stretta pertinenza dello staff gestito da Brucato. Si profila un caso che comincia già a scottare: per le modalità con cui sta sbocciando e per le reazioni che potrà (il rapporto con i procuratori non è mai stato idilliaco e potrebbe incancrenirsi). Ma il martedì raffredda lo spirito bollente di D’Addario: in coda ad un confronto diretto (e duro, pare), sono tutti perdonati. Uno per tutti e tutti per un obiettivo, quello di sempre. Stretegia del terrore sapientemente studiata? Minacce esclusivamente mediatiche? Chissà. Oppure, più semplicemente, ravvedimento pilotato da un summit improvviso? Vedremo: il tempo ci dirà. Perché nuovi capitoli potranno assommarsi a questo: basta attendere. E confrontarsi con i risultati del campo. Intanto, però, il Taranto sceglie la linea morbida. Rivedendo le proprie posizioni. Più o meno quello che è avvenuto, pochi giorni prima, con il supervisore del vivaio, Franco Dellisanti: scaricato a parole e confermato nei fatti. Segno che D’Addario sta imparando ad placare gli istinti dell’inesperienza. Ad ascoltare le onde lunghe delle ragione. O le voci intermittenti di chi gli naviga attorno.
martedì 17 novembre 2009
Il Grottaglie riparte
L’obiettivo dichiarato era cancellare il rovescio di Benevento: che coach Enzo Maiuri sembra aver sofferto profondamente, al di là della semplice espressione numerica del risultato (quattro a zero). E il derby con il Fasano cancella il pessimo ricordo della trasferta sannita: lasciando, anzi, stagnare il Grottaglie nell’immediato ridosso delle prime cinque della classe. La vittoria sull’erba di casa è limpida nel punteggio, ma frutto di una gestione del match non sempre chiara. E, comunque, fortemente agevolata dalla precipitazione in fase di fensiva dell’avversario, a ostilità appena aperte, che regala il sigillo del vantaggio. Quello che, poi, indirizza il resto della gara. In cui l’Ars et Labor si presenta con l’atteggiamento giusto, muovendosi coralmente, praticando una manovra fluida. E dove, più tardi, D’Amblè e soci si irretiscono di fronte ad un Fasano che battaglia, finendo per perdere smalto e brillantezza. Ma riuscendo ugualmente a chiudere il conto con largo anticipo. Sono, cioè, le modalità della partita a scrivere il corso dei novanta minuti: più dello stesso Grottaglie, che – però – recupera il morale e la strada. E che, oggi, si guarda indietro, rallegrandosi: ripescata a settembre, partita in ritardo e modellata a torneo già avviato, in questo momento la formazione di Maiuri è la migliore espressione del calcio pugliese di serie D. Dato, questo, che sottolinea la mediocrità di un campionato unanimemente ritenuto, prima che cominciasse, decisamente migliore nei contenuti e tecnicamente avversato dalla presenza di cinque under obbligatori in ogni confronto. Ma che non può neppure sottacere il lavoro serio di un gruppo nato e crescuto senza pedigrée, ma umile quanto basta per inseguire un traguardo che, adesso, la squadra non sa neppure ipotizzare.
lunedì 16 novembre 2009
Il futuro assai grigio del Fasano
Se il Fasano possiede ancora un futuro, il futuro è assai grigio. Al di là dei risultati del campo. L’ultimo dei quali (zero a tre a Grottaglie) è, tuttavia, indicativo sulle condizioni psicologiche con cui la squadra di Geretto, già angustiata dai problemi di organico (numericamente e qualitativamente parlando) dovrà convivere. Al di là della classifica: il gap con la soglia della salvezza, al termine del derby, si è ampliato. E al di là del calcio praticato: Pistoia soci si autopuniscono con un maldestro intervento di Prete, che apre la starda all’Ars et Labor, finendo con il pagare l’insuficiente forza d’uro in fase di possesso e la fatica cronica nelle operazioni di ripartenza, pur non lesinando energia e, talvolta, ardore. No, il futuro è una faccenda più complicata. Che passa attraverso la gestazione societaria e una raccolta di capitali più deludente del previsto. Che ha già fatto fuggire qualche effettivo dell’organico: malgrado in conferenza stampa Geretto si ribelli, adducendo motivazioni che, in realtà, mascherano timidamente la realtà. E che potrebbero completare il processo di disgregamento dello spogliatoio. Voci di corridoio, addirittura, insinuano che il Fasano possa piegarsi prima della fine del percorso: che, cioè, il campionato possa esaurirsi prima del tempo. Che le difficoltà economiche del club possano spazzare tutte le speranze a metà campionato. Disfattismo o verità, il disagio esiste. Se non altro, perché se ne parla. E perché la lista dei convocati (sui diciotto in lista a Grottaglie, solo cinque senior) non mente.
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