domenica 9 novembre 2008

Il Taranto, ora, si adegui

La bufera insiste. Magari, è aggirata (non dimenticata) per opportunità: perché il campionato va e non attende il Taranto litigioso. Ma esiste e resiste. Niente, la frattura tra il vertice societario e la squadra (e, se preferite, anche tra un’anima e un’altra della squadra) non è affatto ricompattata. Ua mezza settimana di mancati incontri e mancate intese non soccorre, ma rinvia il contenzioso a data da destinarsi. E i segni di una domenica terribile (anzi, di un periodo di reciproca sopportazione) rimangono. Dunque: niente parole di reciproco incontro, nessuna cena chiarificatrice, nessun rinsaldamento dell’unione, nemmeno la focalizzazione dell’obiettivo comune: non c’è nulla. Ma solo freddezza. La spaccatura è profonda. E tutto lascia pensare che non finirà qui. Perché Blasi, numero uno del club, non vuole incontrare i giocatori e, probabilmente, i giocatori non hanno molta voglia di confrontarsi. Ma solo di percepire gli stipendi arretrati (uno, nel frattempo, è stato pagato: giusto per tamponare la situazione) e, forse, di cambiare collocazione calcistica e geografica. La ferita del dopo-gara con il Crotone è profonda: perché possiede radici ormai vecchie. Tenute nascoste per un po’. E scoperte quasi all’improvviso, tra un applauso di scherno (di Blasi, negli spogliatoi, a fine match) e qualche rancore. Ferita profonda e sanguinante: perché, probabilmente, non esiste più armonia neanche nello spagliatoio. Che qualcuno si affretta a definire già spaccato. Dove esiste una fazione che reclama i propri diritti e che non sembra propriamente ricondursi al tecnico Dellisanti, che ha sposato le ragioni della società. E che potrebbe (dovrebbe) aver preteso qualche garanzia, in prospetiva futura (in caso contrario, peggio per lui. Per lui, che nel nome del Taranto ha sacrificato un’altra stagione. Nella quale avrebbe potuto allenare altrove. Guadagnando di più: e non solo economicamente). Garanzie che, adesso, vanno riconquistate. Perché Blasi è adirato e, al momento, sembra difficile che possa avallare nuove operazioni di mercato. Se non per rimpiazzare gli epurati: perché di epurati, probabilmente, si parlerà assai presto. Allora, avanti così. Attendendo un segnale, una decisione, un sussurro. Attorno, intanto, aleggia un’aria strana. E si allarga un alone di dubbi. Dubbi che dividono sempre più la tifoseria dal presidente: il quale, ora, non dispone neanche più della sileziosa complicità della squadra: dopo aver perso già da un po’ quella della città e dell’opinione pubblica. Stampa compresa, nella sua totalità: redazione televisiva autogestita a parte, ovviamente. Ecco, la squadra. Divisa e, ovviamente, ammaccata. Ancora prima dell’incidente diplomatico, una realtà incompiuta (ovvero incompleta, cioè lacunosa, soprattutto numericamente parlando). E, in questo preciso momento, non completamente affidabile. Che pure, in condizioni normali, disporrebbe di un tecnico e di un organico autorizzati a confidare in qualcosa di meglio della semplice fuga dai playout. Malgrado tutto. Perché è giusto inseguire la verità, ma è altrettanto onesto distinguere: al di là della religione di ciascuno. Ma il presente è buio e si tutto si fa difficile. Anche per questo, la gara di oggi, a Pistoia, è un momento importante. E come tale va affrontato. Il Taranto, quindi, si adegui: al di là delle beghe di quartiere. Si adegui: sotto qualsiasi aspetto. Perché il campionato è cambiato. Ed è peggiore di quello che la gente sospettava di dover subire.