martedì 27 gennaio 2009

Lecce, nel vortice della paura

Beretta parla di paura. Paura di vincere, cioè di giocare. Ovvero, di non potersi imporre. Ovvero, di sprofondare. Castillo, negli spogliatoi, si accoda. Gli osservatori, nessuno escluso, concordano. E Semeraro, il patron del Lecce, argomenta di un disastro. Ovvio: perché il pareggio sull’erba amica nello scontro diretto con il Torino (probabilmente la formazione meno dotata - dal punto di vista caratteriale - del torneo e , forse, anche la meno armata di personalità), è una vera e propria bocciatura, per una squadra che non sa difendere il vantaggio (anche cospicuo), che non sa governarsi emotivamente, che si sbriciola con facilità. E, se l’allenatore e i giocatori ammettono un intimo timore, senza neppure ripararsi dietro il pudore di nasaconderlo, il dato appare grave. Perché, prima di qualsiasi altra valutazione, sottintende la sopravvenuta fragilità in cui ritiene di albergare il gruppo, peraltro denudatosi e denunciatosi con trasparenza e franchezza.. Unna fragilità che si trasforma facilmente in nervosismo: come tanti piccoli episodi quotidiani finiscono per rivelare. E che la contestazione della gente, magari anche legittima ed ormai palese, non aiuterà a dribblare. Complicando, piuttosto, il processo di ravvidemento di un collettivo provato e anche più solo.. E minacciato dalle sue stesse insicurezze.