martedì 16 novembre 2010

E la Fortis Murgia tiene

Il campionato di quinta serie va e la Fortis Murgia tiene. Molto più che discretamente. Molto più di quanti parecchi addetti ai lavori e osservatori credessero, prima dell’avvio della stagione. Il quinto posto occupato dopo undici turni (in coabitazione con il Francavilla in Sinni) è motivo di soddisfazione legittima e persino di orgoglio: se non altro, perché tiene la gente di Squicciarini a debita distanza dalla zona che scotta (più cinque sulla sest’ultima). E, sia chiaro, la salvezza era e resta l’obiettivo più credibile: almeno per ora. Domenica, a Boville, segnano Falanca e poi Gnisci: due a zero secco, attorno ad una gara attenta, efficace. Sul solco di una prima parte di torneo affrontata sempre con realismo. I ciociari, magari, ci mettono qualcosa di proprio: un penalty fallito (ma, dal dischetto, sbaglia anche l’altamurano De Santis, sullo zero a zero) e, soprattutto, le tre sostituzioni bruciate a metà del percorso dal tecnico laziale, che costringeranno poi l’avversario a giocare in dieci contro undici per quaranta minuti. Però, la Fortis sembra un ingranaggio discretamente collaudato, cioè affidabile sotto il profilo della continuità. Condizione che non impedisce al tecnico di chiedere alla società, prima della manche di ritorno, almeno un paio di nuovi investimenti. Giusto per non perdere i contatti dalla realtà. E per sottolineare un concetto: questa squadra ha già dato quello che doveva. E, probabilmente, anche qualcosa di più.

lunedì 15 novembre 2010

Bari, vento contro

Ultimo, da solo. E abbacchiato. Il Bari cresce (lo giura Ventura), ma crolla pure di fronte al Parma. La classifica, intrigante agli albori del campionato, si fa tetra. La quarta sconfitta consecutiva sull’erba di casa trascina analisi preoccupate e statistiche impietose. Vista così, la squadra sta affondando. E, soprattutto, non riesce a ritrovare gli equilibri e la scaltrezza di un tempo. Mentre l’ambiente si interroga: condizione che, altrove, indebolirebbe sensibilmente la panca dell’allenatore. Ventura, invece, sembra godere ancora di buona considerazione: ed è un bene. Ma lo slancio emozionale delle prime prestazioni si è esaurito (nelle ultime sette uscite, è arrivato solo un punto), il buon umore (che, spesso, tempra i meno dotati) si è affievolito, i limiti di un organico numericamente limitato (anche e soprattutto dagli infortuni, è bene ricordarlo) sono emersi tutti assieme, il vento ha cominciato a soffiare verso altre direzioni (domenica c’è pure il fallimento di un penalty ad intralciare il percorso, oltre ad un paio di cartellini rossi) e, probabilmente, gli avversari si sono adeguati al Bari, trovando le contromisure tattiche efficaci. E, allora, non resta che confidare nell’orgoglio della squadra, nel recupero fisico di qualche pedina, nella lievitazione psicologica di chi si è sgonfiato all’improvviso e in Matarrese. Che, alla riapertura delle liste di trasferimento, dovrà esprimersi compiutamente. Spendendo qualcosa e provando ad offrire al tecnico un contributo necessario: in termini di quantità (due, tre elementi) e di qualità.

sabato 13 novembre 2010

Da Trani a Fasano. Nel segno di Flora

Possono farsene una ragione, a Trani. Definitivamente. Ninì Flora non tornerà indietro. Ora è molto più che ufficiale. Era ormai scritto: il patron, liberatosi della serie D sull’Adriatico, approda all’Eccellenza di Fasano. Con la volontà di scrivere un’altra pagina di storia nel palcoscenico del pallone di Puglia. Che lui, avventuriero di un calcio più manageriale passionale, conosce assai bene. Come le esperienze (e i successi) di Acquaviva, Barletta e poi Trani confermano ampiamente. Altra giro, altra scommessa. Da vincere, possibilmente. Ora, Flora riparte da una piazza ultimamente assai delusa, storicamente in fermento, sempre esigente. Che neppure il suo predecessore, il dimissionario Tommaso Carbone (solo per tre mesi al comando del club), è riuscito a rassicurare, rivitalizzare, rilanciare. Riparte da Fasano, Flora: offrendo concretezza a quel vecchio discorso nato in estate con il sindaco della città della Selva. Nato e sfumato veloce, tra le promesse (non mantenute) del mondo imprenditoriale tranese, che pure avevano convinto l’imprenditore a rinnovare l’impegno alla guida della Fortis. Attorno alla quale si addensano nubi dense. Dicembre, del resto, è vicino. E, a dicembre, potrebbero compiersi i destini della società. La liquidazione comincia seriamente a preoccupare. Ovviamente, il problema non è esclusivamente societario, ma anche tecnico. Investe, cioè, il parco giocatori: che bene si sta comportando in questo torneo di serie D. Se non dovesse spuntare all’orizzonte qualcuno disposto a proseguire il lavoro di Flora, si farebbe davvero dura. Per tutti. O quasi. Forse, non per chi scende in campo ogni domenica. Perchè, nel peggiore dei casi, a Fasano un posto in squadra c’è: si chiama travaso, un’operazione tecnicamente possibile, con la riapertura del mercato. Scommetiamo?

mercoledì 10 novembre 2010

Barletta, avanti adagio

Non è ancora il miglior Barletta, ma i punti cominciano a sgorgare, lentamente. Non copiosi, ma sufficientemente puntuali. I pareggi, è chiaro, non guariscono dai mali. E non regalano felicità, né tranquillità. Ma aiutano a governare meglio il momento, le emozioni, le pressioni. In attesa di un’accelerazione più convinta e convincente. I risultati (anche i pareggi, certo) sorreggono poi anche il processo di autostima della squadra. Autostima improvvisamente lievitata. Per esempio, con il Benevento, domenica, la formazione di Sciannimanico ha accettato il confronto contro un avversario più attrezzato. Reggendo. Anzi, sfiorando un successo che non avrebbe stonato. E obbligando i sanniti a fronteggiare qualche insidia sottovalutata. Calcolando tutto, il Barletta ha sbuffato a lungo, ottenendo un risultato che non ratifica una certa supremazia territoriale esercitata per una larga parte del match. L’ultimo posto, chissà, adesso spaventa un po’ meno. E, comunque, oggi questa squadra risponde alle sollecitazioni, reagisce. E, dunque, anche la panca dell’allenatore appare più salda. Puntellata anche dai fatti, oltre che dalle parole spese ultimamente. A proposito, visto che ci siamo: non faticheremmo a credere che pure le mozioni di fiducia ciclicamente presentate dalla società al proprio allenatore abbiano contribuito a fortificare lo spogliatoio nel suo interno.

lunedì 8 novembre 2010

Taranto, depressione e cambio di panca

Non era certo finita qui. Evidentemente. Ma la veggenza non c’entra. Basta un po’ di esperienza, per captare certe cose. E conoscere l’ambiente e i personaggi che vi navigano. O, molto più semplicemente, le abitudini e le regole del pallone. Che eleggono molti eroi, mietendo pure tante vittime: le solite, generalmente. La questione non è affatto chiusa, scrivemmo meno di un mese fa, a commento dei primi dissidi sorti tra il presidente D’Addario e coach Brucato. Profezia facilissima: perchè il Taranto, immediatamente dopo il rovescio con il Foligno, esautora (nuovamente) il suo allenatore. Risoluzione che il tecnico (e con lui, ovviamente, la squadra) un po’ si cerca. Disegnando una squadra un po’ svogliata, che non reagisce affatto a un paio di schiaffi recenti (il pari allo Iacovone contro il Barletta e la sconfitta di misura a Nocera). Peggiorando, anzi, la sua prestazione sul campo: che, tra l’altro, non può trascinare l’attenuante delle squalifiche in serie, forse la motivazione più incidente nelle disavventure precedenti. Di fronte agli umbri, Innocenti e soci non esibiscono nè idee convincenti, nè carattere. E, se a fine match Migliaccio dichiara pubblicamente di essersi vergognato, qualcosa significherà pure. Il Taranto, tuttora saldamente agganciato al carro dei playoff (va detto anche questo), è in pieno processo evolutivo: slegato, bruciato dall’avversario sul piano della corsa e infilzato. Tatticamente più incerto. E nemmeno confortato dal pareggio temporaneo. Risultato: depressione acuta e pericolo di tagli nell’organico. E, fortemente invocato dalla tifoseria, cambio di panchina. Dove è pronto a sedersi Davide Dionigi (al momento, la nomina non è ufficiale, ma lo diventerà), ex artigliere – anche sui due Mari - e trainer alla prima esperienza in assoluto. Quindi da scoprire, sotto ogni angolazione. Ovvero, una scommessa. In un momento storico, in una situazione contingente e, innanzi tutto, in una piazza che consiglierebbero invece di puntare sull’esperienza di un condottiero più navigato. Al di là delle qualità che il nuovo allenatore potrà e vorrà dimostrare, la soluzione non sembra oggi la più intrigante. Detto francamente.

domenica 7 novembre 2010

Il solito Lecce

Altri novanta minuti spiegano il solito Lecce. Che, in trasferta, distruggono l’appeal guadagnato in casa. Per l’occasione, la gente di De Canio si arrende a Bologna. Brillando poco, ma pagando – probabilmente – anche oltre i propri demeriti. I felsinei, però, ricorrono alle potenzialità dei singoli (Di Vaio, per esempio: uno che, spesso, risolve qualche situazione complicata). Sprintando nel momento di maggior urgenza. Resta abbacchiato, invece, il Lecce che non ha ancora assimilato il concetto di salvaguardia personale, che non ha imparato a cautelarsi. Quel Lecce che, lontano da casa, continua ad offrire quella sensazione di incompletezza, di ingenuità, di cattiva abitudine alla protezione. Guaio serio: perchè il passaporto per una nuova esperienza in serie A non può essere unicamente timbrato in via del Mare. E soprattutto perchè una squadra come questa non può pensare (o sperare) di ottenere sull’erba amica sempre il massimo profitto. I valori del Lecce e di molte altre concorrenti che dovranno scendere in Salento restano quelli che sono: illudersi del contrario è peccato mortale.

giovedì 4 novembre 2010

Qualcosa che ci sfugge

Da una partenza brillante ad un presente molto grigio. Si chiama involuzione. Il Brindisi non si ritrova più. E neanche il lavoro di Rastelli, secondo coach della stagione, sembra saper rivitalizzare una squadra ormai insicura, zoppa, stranita, ferita. Spenta. Da un mese a questa parte, la squadra è in perfetta media da retrocessione. E la leadership del torneo di quarta serie, assaggiata nella prima fetta del cammino, è ormai un’eco lontana. Si è rotto qualcosa. O, più semplicemente, la realtà sta rapidamente bocciando un organico sopravvalutato con eccessiva fretta. Ma crediamo pure che, complessivamente, questo Brindisi abbia le caratteristiche per ribellarsi all’impasse e per ripartire. Sicuramente, però, c’è pure qualcos’altro che ci sfugge. Qualcosa che si agita nell’atmosfera. L’ambiente, nelle sue fondamenta, non è sereno. Al di là del deterioramento delle condizioni generali e della situazione di classifica. E al di là della rumorose contestazioni della tifoseria. Il Brindisi non è tranquillo, dentro di sé. E non riusciamo a percepire quanto possa influire la presenza, in organico, di oltre trenta tesserati. Molti dei quali non giocano. Vivendo ai margini del gruppo. E non da oggi. Né riusciamo a capire se, nel sottosuolo, esistano dei problemi di altra natura: inutile spiegare quali. Eppure, l’involuzione è chiara, evidente. Tanto da alleviare la posizione di Florimbj, esonerato alle prime difficoltà. Ma, evidentemente, solo parzialmente colpevole. A pensarci bene, anzi, qualcosa è cominciato a sfuggirci proprio a ridosso di quella risoluzione societaria. E ci sembra di comprendere che non sarà facile ritrovare la traccia giusta: anche perché il Brindisi continua ad essere un’entità un po’ nebulosa nel grande e incerto puzzle del calcio di serio C.

mercoledì 3 novembre 2010

Bari, buio profondo

«E’ un momento che gira così». Che gira male, cioè. Amarezza e realismo firmato Ventura, sùbito dopo la nuova caduta del Bari, ancora in casa, di fronte all’Udinese. Udinese che ci mette abbastanza di suo, sfruttando pure l’esplicita inconsistenza di un avversario senza più coordinate. E che sembra aver smemorizzato automatismi, abitudini e applicazioni. Riscoprendosi vulnerabile, debole, svuotato. Nei singoli e, ovviamente, nel collettivo. Nella testa e nelle gambe. Come più di qualcuno sottolinea dal di dentro. E sì, perché l’Udinese di domenica è lucidissima e ordinata e il Bari no. E poi perché la formazione di Guidolin corre il doppio. Ecco, a proposito, un particolare da non sottovalutare. E un indizio sul quale ricostruire. Confidando in quell’atteggiamento focoso e combattente che dovrà sorreggere la gente di Ventura, da sùbito. Il clima, del resto, è cambiato: e occorrerà farsene una ragione. Provando a pensare che, magari, non si tratta solo di un momento un po’ così. Oppure che certi momenti possono allungarsi, malignamente E incancrenirsi.

martedì 2 novembre 2010

La crescita del Francavilla

Non è niente male, il Francavilla che blocca il Casarano delle grandi firme e delle ambizioni forti. Non è male, no. Malgrado le problematiche irrisolte di una società senza più presidente e, forse, senza neanche un futuro chiaro. Nonostante i limiti strutturali denunciati sin qui dal torneo. E al di là delle recenti condizioni di salute della squadra, troppo spesso inerte e disarmata. Non è niente male, no. Almeno per un’ora. Quella necessaria per passare due volte, per farsi consegnare le chiavi del match, per sfiorare il colpo grosso. E’ un Francavilla rapido, astuto, sostanzioso, agile, reattivo. Che si avvicina al risultato di prestigio, ma senza abbracciarlo. Trovando il vantaggio su calcio franco, in maniera assolutamente legittima. E, in avvio di ripresa, il raddoppio che punisce un avversario slegato e che premia la manovra della squadra meno dotata, ma più logica. Il pareggio che fiorisce alla fine racconta piuttosto altre verità: come la differenza di qualità dei due organici e il mutamento improvviso delle condizioni climatiche del match. Ma, onestamente, sembra che la formazione di Logarzo si sia irrobustita. Soprattutto in mezzo al campo, dove Cordisco riesce a tamponare e a rilanciare il gioco. E dove, ovviamente, si creano i presupposti per sfruttare le virtù podistiche dei laterali alti. Tutti d’accordo, allora: questo Francavilla, comparato alle versioni precedenti, appare decisamente in crescita. Problemi societari a parte, adesso si può ragionare.

lunedì 1 novembre 2010

Il Casarano si salva. E salva Toma

A Francavilla, il Casarano si salva. Con una mezz’ora, l’ultima, di calcio più credibile. E con un gol (di Da Silva) fortemente sospettato di offside. Il pareggio annulla l’obiettivo minimo centrato pure da Arzanese e Gaeta, ma non compensa il successo del Trani: eppure, vista così, cambia davvero poco. In realtà, il due a due nel derby (e la vana rincorsa ad una vittoria insperata, quando l’avversario si affloscia, atleticamente e psicologicamente) vale più di quello che possa apparire: perché, probabilmente, grazia la panchina di Antonio Toma. Il tonfo, si dice, avrebbe condannato il trainer. Che si rianima appena la sua squadra capisce di dover inseguire giocando palla a terra. Assistendo Da Silva: che, notoriamente, gradisce lo scambio, la triangolazione e persino il lavoro sporco per chi si inserisce. Ma non i traversoni che gli piovono più o meno vicini per tutta la prima parte del match. Effettivamente, il primo tempo del Casarano è lacunoso assai. Il 4-2-3-1 (o 4-2-4, quando il brasiliano si abbassa) garantisce scarsa efficacia in fase di filtro: Bonaffini e Cenciarelli, bravi nel far partire l’azione, non sono però uno schermo ideale per la difesa. E, ogni volta che il Francavilla parte, arriva e fa male. Dietro, poi, si soffre più del lecito. La Virtus è impulsiva e, talvolta, pensa meno di quello che deve. Ma, soprattutto, appare disequilibrata. Sullo zero a due, tuttavia, si apre una partita diversa. Grazie anche all’agilità e alle progressioni di Aragão, che rileva lo spento Mignogna. Il forcing finale, poi, ripara il danno in parte. Semplificando il futuro di Toma. Senza assolvere la squadra: per vincere il campionato serve di più, di meglio. E un’altra mentalità.

giovedì 28 ottobre 2010

Lecce, sintomi di crescita

Chi attendeva il Bari, trova il Lecce. Il sorpasso, nella classifica di gradimento del campionato, è riuscito: otto punti (e prime inquietudini) sull’Adriatico, undici punti (e sorrisi aperti) in Salento. La gente di De Canio incarta un’altra vittoria sull’erba di casa e gode. Scoprendosi collettivo a forte trazione casalinga: tre vittorie e un pari su quattro uscite, contro un solo pareggio notificato in trasferta. La differenza, come dire, c’è. E si vede: tutta. Sbarazzarsi del Brescia, magari, non è semplicissimo: anche perché la formazione di Iachini passa per prima. Ma un secondo tempo di impeto e grazia, di verticalizzazioni e rapidità rivaluta il match, approcciato con ritmi meno convinti. Sbroglia ogni nodo Di Michele: che il fallimento di un penalty, poco prima, non ha affatto offeso. E attaccante che, a Lecce, sembra essere tornato giocatore vero. E non solo per l’artistica conclusione che decide il match, offrendo concretezza al sigillo di Ofere, nigeriano che trova la fiducia del trainer, puntualmente ricambiata. Emerge, dunque, l’anima migliore della squadra. Che dimostra di aver imparato anche a rimediare una situazione sconveniente. Non era mai accaduto, prima di adesso, che il Lecce rincorresse il risultato, senza avvilirsi al novantesimo. Potremmo sbagliare, ma anche certi particolari sono sintomi di crescita.

mercoledì 27 ottobre 2010

Il derby di Goio

Il derby, per definizione, nasconde sempre qualche insidia. E il Taranto, per costituzione, ci ha abituati a tutto e al suo contrario: a sorridere soffrendo, a lamentarsi con il conforto del gioco, ad attorcigliarsi attorno ai suoi cambi di umore, a partenze difettose e traguardi insperati, oppure ad approcci convinti e arrivi affannati. Frutti, cioè, di un’espressione calcistica ancora non completamente matura e di un’indisciplina tuttora invadente. Ecco, diciamo pure che il volto della squadra non sembra del tutto definito. E che il suo marchio di fabbrica appare eternamente forgiato dal fuoco della discontinuità. Prendiamo, appunto, il derby con il Barletta: la prima mezz’ora è assolutamente deliziosa, il primo quarto d’ora addirittura suntuoso. E redditizio. Ma il Taranto si limita troppo presto: probabilmente non è paura, ma insicurezza. E non sa difendere il vantaggio: l’avversario, combattendo con i suoi problemi e piegando il gap tecnico, pareggia e ribalta il risultato. Solo in chiusura, l’orgoglio degli jonici rimedia un punto. La realtà ribadisce, una volta di più, un concetto già chiaro: l’unico carburante che può spingere la formazione di Brucato è l’atteggiamento propositivo. Il Taranto che gestisce è un’altra cosa: perché non giunge mai in fondo. Perché il governo del territorio non è nel suo dna. Meglio farsene una ragione: e adattarsi. Le vicende dell’ultimo match, però, corrono parallele all’esordio tra i pali di Dodo Goio, diciassettenne titolare della formazione Berretti, chiamato a sostituire gli squalificati Bremec e Barasso (due portieri puniti contemporaneamente: cose che succedono solo in riva ai due Mari). La squadra, da principio, sembra non pensare all’inconveniente: macina gioco e comanda. Poi, probabilmente, il sospetto si insinua e il Taranto perde potenza, chiudendosi. Errore. Anche perché sarà proprio una respinta un po’ maldestra di Goio a regalare al Barletta il gol del temporaneo vantaggio. Un’ingenuità che rischia di ammazzare la gara e che macchia la prima convocazione tra i professionisti del ragazzo. Peraltro, scarsamente difeso dalla tensione, in settimana. Ovvero, delegittimato da troppe esitazioni (la decisione di schierarlo fiorisce a metà settimana) e dai rigurgiti del calciomercato (l’investitura sorge quando la società scarta la possibilità di tesserare un altro portiere, attualmente senza contratto). E, certamente, privato delle migliori condizioni psicologiche: ancora prima di esibirsi. Non il massimo della vita.

martedì 26 ottobre 2010

L'incubo dell'Andria

Si complica tutto: l’Andria perde, ancora. In casa, di fronte ad una Juve Stabia che proprio irresistibile non è, come specificano la classifica e le cronache recenti. E poi perde male: tra confusioni ed errori. Piegandosi un po’ su se stessa, rifiutandosi di assimilare i concetti basilari che determinano la crescita. O che alla crescita accompagnano. Segno inconfondibile che la perizia e la pazienza di Papagni, da sole, non bastano. Che il lavoro quotidiano è, evidentemente, insufficiente. Che la tranquillità, dentro e attorno alla squadra, non è proprio una qualità in esubero. Che, tecnicamente e tatticamente, qualcosa non quadra: nonostante un organico oggettivamente non disprezzabile. Anzi, buono per centrare l’obiettivo della salvezza, appena un gradino sotto di quello originario, nonché auspicato da tutti, prima che il campionato si avviasse. L’Andria perde la partita, molte certezze residue e anche la gente che tifa. Definitivamente, pare. I supporters più caldi insorgono. E, dai mugugni ingombranti, passano alla contestazione aperta. Che tocca tutti. Non solo giocatori e tecnico, ma anche Di Bari, diesse indigeno, e la società. La reazione è pronta, altrettanto veemente: Nicola Canonico, imprenditore girovago e presidente di nomina fresca, s’adombra e saluta, trascinandosi il suo vice Fusiello. Mentre, nel frattempo, nascono contenziosi verbali particolarmente piccanti: per strade e nei forum virtuali. E fioccano accuse: anche di boicottaggio. Per non parlare delle minacce denunciate dal vertice societario. Non è la fine della storia (dopodomani, del resto, si riunisce il consiglio d’amministrazione), ma la storia si deteriora. E il silenzio stampa imposto a chiunque non limita i danni. Il vortice della rabbia, così, ricaccia Andria e l’Andria in un tunnell giù conosciuto. Se ne accorge proprio Fusiello, che detta: «Passano gli anni, ma non cambia niente». E il derby con il Barletta si affaccia nel momento meno indicato. Come negli incubi peggiori.

lunedì 25 ottobre 2010

Un invito, un consiglio: il Foggia di Zeman

«Venite a vederci». Una proposta, un consiglio. O una promessa. Zeman tornava a Roma. Rientrando dalla finestra del Flaminio, dopo aver varcato la porta dell’Olimpico. Senza più tornarci. E senza lasciare troppi rimpianti, riferiscono i maligni, alla Lazio e alla Roma. «Venite a vederci». Un invito, un messaggio: nell'immediata vigilia dell'anticipo di sabato. Agli amici di un tempo, agli estimatori di sempre e, perché no, ai detrattori di ieri. Venite a vedere il suo Foggia, cioè. Il suo Foggia spavaldo che visita l’Atletico Roma capolista, attirandolo in una trappola. Il suo Foggia vivace che rischia di vincere, per poi accontentarsi di un punto. Uno di quei punti che, magari, fanno classifica, ma anche molta pubblicità al verbo del condottiero di Praga. E che, in definitiva, privano l’avversario della leadership (se ne avvantaggia la Nocerina, tremenda a Terni). Poi qualcuno, in fondo al match, parla persino di spettacolo. L’argomento che più solletica il boemo. Ancor prima del risultato. Quel motivo frizzante che lo spinge a rischiare ancora tutte le sue domeniche. E che, dopo tutto, l’ha convinto a ripartire dalla terza serie, in silenzio. O quasi. Quell’argomento magico che gli mancava per assorbire qualche anno di polemiche e amarezze. Quel motivo in più per richiamare la gente. E per invitarla in tribuna.

domenica 24 ottobre 2010

Bari, risveglio brusco

Un altro Bari, un’altra classifica. E così, alla terza caduta di fila (questa volta a Firenze, nell’anticipo, giocando con lucidità limitata e senza tre pedine di spessore), si apre lo stato di crisi. Certificato dal terz’ultimo posto che sembra voler revisionare tutte le parole pregiate spese sulla formazione di Ventura nel primo mese e mezzo della stagione. E confermato da certi malumori del tecnico, emersi anche prima della trasferta in Toscana: che testimoniano, se non altro, la cattiva digestione di alcune opinioni maturate dagli osservatori a immediato ridosso del match con il Napoli. Risultati a parte, però, il Bari di questo periodo è rabbuiato, contratto, meno dinamico, poco reattivo. In un solo vocabolo, involuto. Gillet e soci sembrano aver perso sicurezza: subiscono molto e non graffiano. Forse perché i suoi big si sono un sgonfiati, tutti assieme. O perché, come si insinua ad alta voce (e anche il coach, per la verità, sottoscrive), il collettivo si è dimenticato dell’umiltà. Qualcuno, almeno, peccherebbe di supponenza, credendo di essere arrivato. Frasi virgolettate, chiare e semplici. Magari, il torpore è solo temporaneo. E il calo di tensione assolutamente fisiologico: accade a qualunque squadra, almeno una volta all’anno. Però la città si interroga e i primi dubbi cominciano a corrodere l’ambiente. Minacciando un risveglio brusco. Di certo, tuttavia, il Bari si ritrova ad affrontare un altro campionato, un’altra realtà. E a modificare, all’improvviso, gli obiettivi. Le priorità, adesso, sono altre. Recuperare lo smalto perduto, innanzi tutto. E, sùbito dopo, allontanarsi dalla zona di pericolo. Che, peraltro, resta un territorio vago: accade sempre così, quando pochissimi punti intrappolano molti concorrenti. Al di là di tutto, comunque, il Bari si trova a dover recuperare in fretta una certa mentalità. Dovrà, cioè, adattarsi alla nuova situazione. E dovrà affrettarsi, anche. Certe volte, emerge pure il sospetto che non sarà facile. Ma questa è una prova di maturità alla quale è chiamata la gente di Ventura. Che credeva di poter volare e, invece, si rannicchia sulle motivazioni di questa bassa pressione. Dalla quale, generalmente, si esce con requisiti antichi. Sì, è arrivato il momento: il momento di mostrare gli attributi.

giovedì 21 ottobre 2010

Barletta, galleggiare per resistere

Di una cosa, comunque, va dato atto a Tatò, presidente di un Barletta ancora troppo confuso per volare. Di continuare a rispettare, cioè, l’impegno con il suo allenatore, malgrado tutto. Anche dopo il coloratissimo pareggio interno con la Cavese (tre a tre, maturato con modalità decisamente singolari), il numero uno del club ha sùbito confortato Sciannimanico. Allontanando, ancora una volta, le indiscrezioni maligne sul suo conto. Ed è difficile, in questi casi, resistere all’istinto di allontanare il coach. Non solo perché la squadra naviga sola, in fondo alla classifica. Ma anche perché questo collettivo brucia, una dopo l’altra, tutte le opportunità che incontra. L’ultima, poi, è davvero particolare: per quello svantaggio (due a uno) recuperato a quattro minuti dalla fine della partita e per quella vittoria agguantata in pieno recupero, eppure sciupata dall’esultanza prolungata. Il problema di fondo, però, è quello: l’organico allestito in estate non era preparato ai pericoli della terza serie. E, sostanzialmente, gli innesti recenti (Margiotta, Galeoto, Frezza) non hanno modificato il volto del Barletta. Che, probabilmente, necessiteva (necessiterebbe) di forze più fresche, o meno consunte. Ma il mercato degli svincolati questo offriva: lo sapevamo. E meravigliarsi non serve. La rincorsa alla salvezza, ovviamente possibile, nasconde ancora difficoltà diffuse. Che bussano alla riapertura delle trattative di mercato: dove ci si potrà inventare qualcosa. Nel frattempo, il Barletta galleggi. E poi la C2 non è un torneo di grande qualità: mantenersi vivi un obiettivo onesto.

mercoledì 20 ottobre 2010

Foggia, una rincorsa per entusiasmarsi

Tutti convinti: il Foggia del primo tempo, quello del derby di domenica, è il migliore visto sin qui. Il migliore, perché il più autoritario. E il più lucido, cioè il più pericoloso. Solido in Iozzia, ispirato in Burrai, velenoso in Sau. Bello, frizzante, ma oltre il limite dello spreco. Peggio: l’Andria passa, poco prima dell’intervallo. E sogna, quasi sino in fondo. La gioventù di Zeman, in coda ad una decina di occasioni interessantissime, rincorre e s’impossessa della partita sui titoli di coda, ribaltando lo score. Vincendo una gara praticamente persa. E’ una delle magie delle squadre del boemo, che s’impongono e cadono, che si rattristano e si rialzano. E’ la storia corrente del Foggia, un collettivo in piena evoluzione, al culmine di un lavoro che non si esaurisce qui. Ancora acerba e discontinua per poter pensare di disputarsi i playoff, a fine torneo. Ma già consapevole di aver abbozzato il cammino all’interno di un progetto. Magari biennale. E che promette di fruttare, con i giusti accorgimenti che la società vorrà e saprà applicare, quando se ne presenterà l’occasione. Un derby, certo, non è per sempre. Ma fa molto bene, quando si vince. E aiuta a scaldare un ambiente già entusiasta. La società lo sa. E cavalca l’onda del successo, raiprendo la campagna abbonamenti. Consapevole che è il momento più indicato per vedersi riconoscere la bontà del lavoro svolto in poco più di due mesi. Che, intanto, un risultato l’ha già raggiunto, azzerando dalle viscere della piazza quel cattivo umore e quell’alone di depressione coltivato da anni.

martedì 19 ottobre 2010

Trani, dal derby una speranza

Il Francavilla di questi tempi è l’avversario che chiunque vorrebbe incontrare. Fragile e confuso: dall’involuzione della questione societaria, innanzi tutto. E anche da una regressione squisitamente tecnica, che arrugginisce un ingranaggio assolutamente improbabile. Ma il Trani, che pure non vive giorni facili, sotto il profilo puramente gestionale (Flora, il presidente dimissionario, diserta puntualmente gli appuntamenti del campionato), sa ribellarsi alla crisi, sigillando il derby in undici minuti, a match nascente. La lettura, in certe situazioni, viene facile: la gente di Pettinicchio è tenace e si issa sull’orgoglio. E il tre a zero ottenuto in trasferta è una risposta eloquente ai timori di quanti avranno ipotizzato un disimpegno psicologico del gruppo, dopo le ultime vicissitudini. Ma pure un invito postumo al suo presidente: sempre che Flora abbia, malgrado tutto, ancora voglia di fare calcio a Trani. Anche perché, lo giura il sindaco Tarantini, qualcosa si sta muovendo, sul fondo del mondo imprenditoriale cittadino. E, magari, non è ancora troppo tardi per rimediare.

lunedì 18 ottobre 2010

Grottaglie, atmosfera strana

Altra trasferta, altra sconfitta. Come se non bastassero le insidie raccolte al D’Amuri, sin dall’avvio del campionato. Il Grottaglie cede anche a Gaeta: anche se, in realtà, il risultato non deve scandalizzare. Per la differente caratura degli organici, innanzi tutto. Il tenore degli investimenti estivi, del resto, scava un solco: quasi sempre. L’Ars et Labor, peraltro, non approccia male la partita. Ma, irrimediabilmente, si perde alle prime difficoltà, cioè immediatamente dopo aver subito la rete dello svantaggio. La panca di Franco Danza, anche per questo, si fa sempre più scomoda. Il tecnico, poi, deve parare qualche polemica cresciuta attorno alla decisione (infrasettimanale) di sistemare ai limiti della squadra De Angelis, Solidoro e Laghezza. Tutta gente che, sussurra qualcuno, sembra aver già consumato il feeling con il suo condottiero, personaggio che sa essere ruvido quanto basta. Di più, non trapela. Resta, però, una squadra già molto preoccupata dalla classifica e abbastanza lacerata nei rapporti. Che deve cominciare seriamente a costruirsi una credibilità in casa, dove solitamente si edifica la salvezza. L’imminente derby con il tenerissimo (e ultimissimo) Ostuni, probabilmente, arriva nel momento più opportuno. O nel periodo storico paradossalmente meno indicato: se, cioè, la prestazione dovesse rivelarsi difettosa. Tanto da aprire uno stato di crisi e di massima agitazione. Letale, per un gruppo che, alla propria tifoseria, sembra aver consegnato un indizio di arrendevolezza e di mancanza di fiducia in se stesso.

giovedì 14 ottobre 2010

Brucato, come se niente fosse accaduto

Alla fine, il successo inatteso (appena otto minuti prima dalla conclusione della prestazione contro la Lucchese) e ormai impensabile (per le modalità con cui piove su una partita segnata dalle vicissitudini di una settimana di tensioni seminascoste) serve a tutti. Cioè, serve al Taranto e alla sua classifica. Al suo tecnico, scampato ad un esonero già scritto. E pure al club di via Martellotta, che evita così di continuare a farsi del male. E che, malgrado certe recenti aperture suggerite dall’esperienza (o dal buon senso), si trova a ripercorrere i sentieri meno prudenti del pallone, rifiutandosi - ancora una volta - di crescere. Ovvero, di offrire compiutezza a processi evolutivi appena accennati. Brucato, tecnico tradizionalmente osteggiato da una buona fetta di tifoseria e già scaricato con pochissima delicatezza nel corso dello scorso campionato, rimane il nocchiero di una delle due vicecapolista del girone. La notizia sgorga dal summit di martedì tra il tecnico nisseno e il presidente D’Addario: un incontro buono a dirsi che va quasi tutto bene. E che, tuttavia, annulla una risoluzione adottata immediatamente dopo l’insuccesso (mal digerito) di Pisa. Dopo del quale l’allenatore era stato disegnato come colpevole unico di un gioco spesso redditizio, ma non sempre stimolante. E, quindi, praticamente sostituito già prima dell’ultima gara, quella con la Lucchese. In attesa di una nuova prova difettosa, che l’avrebbe dovuto condannare definitivamente. Prova difettosa puntualmente arrivata, peraltro. Eppure salvata (solo nel risultato, ovviamente) dal moto di orgoglio della squadra, capace di impattare e rimontare sui titoli di coda. L’allontanamento di Brucato, ormai abituato a delegittimazioni forti, sembrava trascinarsi - è vero - anche sull’onda lunga delle dichiarazioni dello stesso trainer alla fine del match di domenica scorsa: parole forti nei confronti dell’ambiente, ma soprattutto della stampa e anche della società. Che non aveva gradito: controbattendo con un comunicato poco convincente e, forse, poco convinto. In cui l’allenatore non veniva attaccatto, ma neppure difeso. I tre punti, la sollevazione di parte dell’opinione pubblica e l’imbarazzo di D’Addario, dunque, salvano Brucato. Il cui allontanamento avrebbe stonato con la classifica del Taranto. Avvalorando, però, le tesi di quanti imputano al tecnico scarsa cura dei dettagli tattici, surrogata da un rapporto intimo con la sorte. Che, altrimenti, chiameremmo virtù dei singoli al servizio della causa comune. E legittimando, infine, anche le teorie degli operatori dell’informazione: accusati di aver inventato un caso, cioè di aver riportato notizie infondate. Ma, conoscendo le abitudini del calcio e la realtà sui due Mari, la questione non è affatto chiusa. Ci scommettiamo.

mercoledì 13 ottobre 2010

Francavilla, successo senza sorrisi

Non basta vincere, per essere felici. Il Francavilla piega a casa propria l’Angri, che rimane una concorrente diretta nel capitolo-salvezza: decide Piovan, dal dischetto, in fondo ai novanta minuti. Anzi, lo score è sufficientemente onesto: e spiega, se non altro, la volontà di resistere alle intemperie di un torneo sùbito sgorbutico. Ma le nuvole dei dubbi si riaddensano immediatamente, a partita appena finita. Patron Distante, infatti, decide: basta così. I contributi delle sponsorizzazioni sono già terminati. Consumati dalla spesa estiva e dal primo mese e mezzo di calcio giocato. E il presidente non può permettersi ulteriori investimenti. Difettano (continuano a difettare) altri contributi. E l’aiuto di quanti avrebbero potuto (o dovuto? Qualcuno ha promesso qualcosa?) sostenere, anche dall’esterno, il progetto calcistico. E’, questo, tempo di stipendi: e i conti già non tornano. Tanto da rendere inutile, se il disimpegno di Distante dovesse essere confermato nella sostanza dai fatti, la rincorsa affannata ad un organico da presentare per l’avvio della stagione. E, soprattutto, il ripescaggio in serie D, per ottenere il quale proprio il massimo dirigente sembra essersi prodigato. E non poco. Malgrado lo stato di bassa pressione finanziaria abbia, ormai, radici profonde. E sì: perché, a questo punto, un’Eccellenza dignitosa (e meno dispendiosa) avrebbe risolto quello che è diventato un problema serio: salvare il titolo sportivo. O, comunque, il futuro del pallone in città.

martedì 12 ottobre 2010

Florimbj e il Brindisi divorziano

La soluzione, molto spesso, è più semplice di quanto si possa intuire: si chiama esonero. Il Brindisi esautora Florimbj, il tecnico del suo prezioso avvio di campionato. Due sconfitte (la prima a Matera e la seconda in casa, sette giorni più tardi, cioè domenica scorsa, di fronte all’ambizioso Neapolis) fanno una prova di colpevolezza. Suffragata, certo, da un calcio più dimesso: almeno, per quello che la formazione adriatica aveva lasciato vedere sin qui. E da un calo di tensione che non faticheremmo a definire limpido. Deleterio per il morale della piazza e per le esigenze di classifica (leadership persa, adesso si insegue). Tuttavia, dentro la decisione del presidente Galigani (peraltro legatissimo a Florimbj, da tempo) ci sarebbe dell’altro: le cattive relazioni tra l’allenatore e qualche elemento del gruppo e, soprattutto, la norma degli under. Che, in C, non vanno schierati obbligatoriamente. Ma che, una volta utilizzati, portano denaro nelle casse della società. Norma che Florimbj avrebbe dribblato, cercando compattezza nell’esperienza. Vero o falso, il club possiede le proprie esigenze. E, di questi tempi, con i conti non si scherza. Oltre tutto, da questo punto di vista, Galigani non transige. Neppure con gli amici stretti. Del resto, il business riconosce soltanto le proprie regole di comportamento. Scavando, però, dietro l’angolo dell’esonero potremmo trovare anche qualcos’altro. Ad esempio: un organico sopravvalutato dai primi risultati felici. E che, forse, ha ammaliato l’ambiente, depistandolo. Solo un’ipotesi, ovvio. Che, intanto, conserviamo volentieri.

lunedì 11 ottobre 2010

Taranto, vittoria con interrogativi

Sta accadendo qualcosa, sui due Mari. Sembra che patron D’Addario si sia stancato di Brucato, allenatore troppo spesso delegittimato. Tanto che il presidente, deluso dalla trasferta di Pisa, in settimana avrebbe contattato Galderisi, coach attualmente senza panchina. Sembra che la squadra abbia accusato i malumori nati e cresciuti in settimana. E, con i malumori, certi processi sbrigativi, certe contestazioni sotterranee e un’atmosfera irreale, per una squadra che naviga nei quartieri nobili della classifica. Tanto da affrontare il match con la Lucchese assai contratta. Di più: con svagatezza, confusione. Zoppicando, ecco. Sembra, addirittura, che il Taranto abbia scaricato il suo condottiero. Scendendo in campo con la ruggine dei giorni più sofferti. In tanti, del resto, sulle tribune l’hanno pensato. E l’hanno detto. Per ottanta minuti. E sembra, infine, che il collettivo abbia radunato le forze nel momento decisivo, sostenendo con le architravi della vittoria il suo trainer già condannato. Ribaltando, con Innocenti e Rantier, il risultato: proprio al fotofinish. E ingannando la giustizia calcistica: la Lucchese, diciamolo sinceramente, avrebbe meritato almeno un punto. A partita consumata, allora, restano alcune indicazioni. La prima: il Taranto continua a non giocare di squadra, ma giostra ancora sulle intuizioni del suo reparto avanzato. La seconda: il Taranto comincia a innervosirsi. Come accade ogni anno, per un motivo o per l’altro. La terza: la società, adesso, si trova in difficoltà: con un allenatore nuovo all’uscio e quello vecchio che, al di là di tutto, torna a vincere, blindando il secondo posto. Condizione che, peraltro, non impedirebbe a D’Addario di cambiare guida tecnica: nulla è impossibile. E poi, quando decide, il generale decide. Brucato, intanto, attacca una parte di stampa, respingendo qualche accusa e, in sostanza, circumnavigando il problema. Le indiscrezioni, infatti, non nascono per caso, né si inventano. Così come non si inventano le condizioni migliori per lavorare. Qui, però, l’allenatore c’entra poco. C’entra, piuttosto, la società, ancora troppo umorale per disegnarsi un futuro diverso.

domenica 10 ottobre 2010

De Canio e Semeraro, si apre una crepa

Una settimana per riposare. E per gustare una classifica gratificante. Il Lecce sembra essersi calato nella mentalità del campionato. In cui, è evidente, dovrà necessariamente tornare a sbuffare e sgomitare: diversamente, non ci sarà troppa storia. Qualche crepa, però, emerge. A settimana inoltrata. La squadra, questa volta, non c’entra. Colpiscono, invece, le libere (e piccate) dichiarazioni incrociate di De Canio («da ora in poi non mi occuperò più di mercato») e del presidente Semeraro («non l’ha mai fatto»). Al di là della verità (a noi risulta che, di fatto, il tecnico abbia sbrigato i compiti di un vero e proprio manager, negli ultimi dodici mesi, cioè dopo la risoluzione del contratto tra il club salentino e l’ex diesse Angelozzi), la polemica – forse anche morbida, ma viva – sorprende: anche e soprattutto per la tempistica con cui si arrampica. E, se vogliamo, per le modalità con cui sorge. Innanzi tutto, non se avvertiva la necessità. E poi, evidentemente, sintetizza certi malumori sin qui sopiti, ma infine sfociati in un momento storico sostanzialmente sereno. Crepa strana, improvvisa. Che lascia pensare. Antipatica, prima ancora che pericolosa. Che, magari, verrà immediatamente composta. Ma che, intanto, apre la strada a certi sospetti. Molto spesso, i divorzi si consumano attorno ad episodi futili.

mercoledì 6 ottobre 2010

Le multe? Paga la gente

Il risveglio è duro: il Pisa fa il Pisa, avversario affamato che addiziona volontà e orgoglio. E il Taranto si perde dietro ad un modulo indefinito (ne avevamo parlato il mese scorso, non è cambiato niente), dilapidando un tempo, il primo, senza riuscire a recuperarlo. Brucato ritrova la strada maestra in ritardo e qualcuno, tra la gente che tifa, comincia (di nuovo) a dubitare sull’opportunità di lasciare il coach nisseno sulla panca jonica. Mentre la società respinge i sospetti: avanti così, la sconfitta è solo un episodio. Può darsi: ma insistere a non definire lo schema attorno al quale la squadra deve muoversi può diventare dannoso. Soprattutto se la scelta del modulo finisce con l’influenzare la scelta degli uomini. Di certi uomini: quelli che, per esempio, in questo momento, sembrano offrire più garanzie. E che, nonostante tutto, non partono titolari. Intanto, la seconda piazza solitaria è persa. E, con lei, la pazienza di D’Addario. Non tanto nei confronti di allenatore e giocatori: anche se molti raccontano di atmosfere tese, tra gli spogliatoi e le scrivanie del club. Quanto nei confronti di chi sostiene il Taranto. Spieghiamo. Due gare, le ultime: la prima in casa, la seconda in Toscana. E, complessivamente, oltre quattordicimila euro di multe. Determinate da qualche comportamento eccessivamente disinvolto, sugli spalti. Soluzione: dalla prossima domenica (allo Iacovone arriva la Lucchese), i prezzi al botteghino dei tagliandi d’ingresso verranno maggiorati. E’ bastato dividere l’importo delle sanzioni per la media dei paganti: il risultato è, almeno, di tre euro a persona. Matematica pura. Concetto chiaro. E, in fondo, anche legittimo. Anche se è improprio pretendere da tutti a causa dei difetti di qualcuno. L’iniziativa del presidente non è affatto inattaccabile: innanzi tutto dal punto di vista del diritto. Ma confessiamo che non ci dispiace. Per il messaggio che si porta appresso: talvolta, il coraggio va applaudito. E non solo perché la vita di una società di pallone si misura con i conti di gestione.