martedì 25 dicembre 2007

I padroni delle ferriere. E del verbo

Da Casarano a Nardò. Pochi chilometri di asfalto e di Salento calcisticamente caldo. E un’unica situazione anomala: gli attriti tra chi progetta calcio (le società) e chi lo deve raccontare (la stampa). Come a Casarano, anche a Nardò la dirigenza si ritiene defraudata: del diritto di conservare l’incontrastabile vericidità del verbo. Descrivere la realtà, invece, è anacronistico, detestabile, politicamente scorretto. Testimoniare dei disordini (e del consequenziale fallimento della giornata dedicata al fair play) succedutisi prima, durante e dopo il match tra la squadra allora condotta da Vito Sgobba e il Francavilla, due domeniche fa, è una minaccia alle ragioni di stato. Meritevole di ritorsioni adeguate: la stampa, se vuole presenziare la gara-farsa contro la Leonessa Altamura, sette giorni dopo, può farlo. Pagando, però, il biglietto e rimanendo fuori dalla tribuna solitamente riservata agli operatori dell'informazione. Il fatto non ci sorprende e neppure ci sconvolge. Del resto, la mancanza di cultura del lavoro altrui è, da tempo, uno dei postulati su cui si fonda la repubblica italiana. E la mancanza di spessore culturale è uno dei cardini attorno al quale si avvita troppo spesso il calcio di Puglia. Che potrebbe ambire a qualcosa di più e di meglio. Ma, se questo non accade, le motivazioni ci saranno pure. Una, forse, l’abbiamo già individuata.