giovedì 7 febbraio 2008

Iacovone, trent'anni nel ricordo

Scoprire all’improvviso che sono già passati trent’anni, turba. E, nell’intimo, sconvolge. Perché il tempo che passa turba e sconvolge. La figura di Erasmo Iacovone, intanto, sopravvive: anche se sono passati trent’anni da quell’incidente stradale che lo hanno proiettato nell’immaginario collettivo di coloro che lo hanno visto giocare, conoscito e amato. E anche di coloro che non lo hanno visto giocare e non lo hanno conosciuto: ma solo amato. Iacovone, quel 6 febbraio del ’78, ha lasciato in eredità il suo carattere semplice e qualche sogno interrotto e mai più riannodato: cioè, ha lasciato in eredità il ricordo, che talvolta è simile alla speranza. Taranto, nel frattempo, non è cambiata. O forse sì: perché è solo peggiorata. Socialmente, politicamente, economicamente. E anche il calcio tarantino è peggiorato: non più la B, ma la C1 (attuale), la C2 e l’Interregionale (subite in passato), transitando per tre fallimenti e per storie inenarrabili. Proprio per questo, oggi, Iacovone resta il simbolo della speranza, che si aggancia al ricordo, mai sbiadito: e non solo il nome ufficiale di uno stadio fatiscente, più o meno inagibile e avversato da guerre di religione. Scoprire che sono passati trent’anni turba. Perché, egoisticamente, significa che stiamo invecchiando, senza essercene resi conto. E, da un altro lato, fa male. Perché Taranto sta lentamente morendo. E il suo calcio non è mai veramente risorto. Accontentandosi del ricordo: l’unico ricordo vivido e indelebile. In una città che non è stata mai abituata a ricordare. Ma solo a distruggere.